Scorrendo al volo il nostro profilo Instagram, ci siamo imbattuti, tra le storie, in una parola che non avevamo mai sentito e nella quale alcuni di noi si sono sentiti perfettamente inquadrati.
Il termine in questione è tsundoku: i giapponesi l’hanno creata, a cavallo tra il 1800 e il 1900, per indicare l’atto di acquistare libri senza leggerli, accatastandoli sul comodino o su uno scaffale, a prendere polvere e occupare spazio altrimenti utilizzabile.
Tsundoku e altre parole
La necessità di riassumere in un’unica parola abitudini, aspetti, idiosincrasie che sono ormai parte della nostra vita quotidiana sembra essere divenuto un tratto caratteristico della nostra cultura e della nostra epoca.
Ne abbiamo trattata qualcuna anche noi: manifesting, ovvero il pensiero positivo a tutti i costi; doomscrolling, passione morbosa per le notizie negative; fredagsmys, il venerdì trascorso con la propria famiglia. Il più famoso di tutto è certamente hygge, il senso di intimità e comfort che scaturisce dalla convivialità e genera serenità e benessere, insomma la felicità delle piccole cose.
Si tratta in gran parte di termini anglosassoni e scandinavi, ma non è un caso che stavolta arrivi dal Giappone, paese al momento di gran voga in libreria.
Il difetto dei lettori forti
Molti articoli del web descrivono il tsundoku come un difetto caratteristico dei cosiddetti lettori forti, quelli che leggono più di un libro al mese. Sarebbero loro i principali “accumulatori seriali” di libri: l’esperienza di un visita in libreria; l’eccitazione di fronte alla vista di file e file di copertine colorate e accattivanti; il piacere di scorrerne le pagine sarebbero tutti sintomi di una sorta di malattia, che qualcuno arriva addirittura ad annoverare tra le sottospecie dello shopping compulsivo.
Per i lettori forti, per fortuna, i libri acquistati seguendo questo impulso irrefrenabile non sempre vengono dimenticati. Spesso sono solo accantonati per essere poi recuperati successivamente, a volte proprio quando è il momento “giusto” per leggerli. Un potere, questo, quasi esclusivo dei libri.
Per la maggior parte degli adepti del tsundoku tuttavia, l’importante è averli a portata di mano, per quando serviranno: per quel week end che siamo riusciti a ritagliarci tutto per noi; per quella serata in casa, solitaria e rilassante; per quella vacanza sedentaria, sdraiati al sole, sulla sabbia calda o su un bel prato.
Cedere o tenere?
A parte i maniaci, quelli che vivono letteralmente tra pile di libri, accatastati in ogni angolo libero della casa, sotto il letto o dietro il divano, per molti la soluzione è rinunciare a qualche volume. Disfarsi dell’ultima novità tanto pubblicizzata che non si è rivelata un gran ché, di qualche doppione acquistato per sbaglio, di quell’autore che proprio non ci è piaciuto: per chi vuole seguire questa strada le possibilità sono infinite.
Ci sono i mercatini dell’usato, specializzati o meno nell’acquisto e nella rivendita di volumi usati, ma i libri possono ormai essere rivenduti anche online, su piattaforme dedicate alle compravendite tra privati. Gli affari sono solo per chi acquista – se il libro è in buono stato o se il venditore è un maniaco allergico alle orecchie agli angoli delle pagine e alle pieguzze sul dorso.
Chi vende ci guadagna pochi euro nonché il piacere di non aver dovuto gettare una inestimabile fonte di sapere e divertimento nel bidone della carta da riciclare.
Un altro sistema è quello dello scambio. Il booksharing è molto in voga e si può svolgere praticamente ovunque: nelle librerie, nelle biblioteche, nei caffè, nei centri culturali, nelle mense aziendali, persino sui mezzi di trasporto.
Infine c’è la donazione: regalare un libro a chi non vuole o non può considerarlo una priorità è un gesto che promette grandi soddisfazioni. Nel nostro Paese, però, donare un libro a una scuola o a un carcere è purtroppo una procedura burocratica complessa e farraginosa. Ci auguriamo che la semplificazione arrivi anche qui, per liberare tutti i libri vittime del tsundoku dalla polverosa immobilità a cui sembrano condannati restituendo loro il ruolo che meritano: diffusori di idee, propagatori di cultura, profumatori di sogni.
Foto di ninocare da Pixabay