Potrebbe sembrare che dica due cose l’una in contraddizione con l’altra: da un lato crediamo nella conoscenza scientifica, dall’altro siamo pronti a modificare radicalmente parte della nostra struttura concettuale del mondo. Eppure non c’è contraddizione, perché l’idea di una contraddizione nasce laddove si avvalori il grande fraintendimento della scienza: l’idea che la scienza sia una certezza.
Introduzione di Lee Smolin
Carlo Rovelli è un esponente di rilievo della gravità quantistica, che ha avanzato anche proposte fondanti sulla meccanica quantistica e sulla natura del tempo. Dopo aver conseguito il Ph.D., si è messo subito a lavorare, facendosi valere come uno dei tre fondatori della teoria della gravitazione quantistica nota come “teoria dei loop” (gli altri due sono Abhay Ashtekar e Lee Smolin). Negli ultimi 25 anni ha dato numerosi contributi in questo ambito, specialmente sviluppando l’approccio spazio-temporale alla gravità quantistica: i cosiddetti modelli a schiuma di spin. Tali studi hanno raggiunto l’apice della loro importanza cinque anni fa, con una serie di scoperte che forniscono evidenza sperimentale ai loop in quanto spiegazione della gravità quantistica.
Il libro di Rovelli, “Quantum Gravity”, rappresenta la migliore introduzione in questo ambito, fin dalla sua prima pubblicazione nel 2004. Il gruppo di Marsiglia, di cui fa parte, è un’incubatrice di nuovi talenti per l’Europa. L’approccio di Carlo Rovelli alla meccanica quantistica è una teoria quantistica relazionale. Insieme al matematico Alain Connes ha inoltre proposto un meccanismo mediante il quale il tempo emergerebbe da un mondo senza tempo, secondo l’ipotesi del tempo termico.
Chi è Carlo Rovelli
È un fisico teorico, che lavora con la gravità quantistica e i fondamenti della fisica dello spazio-tempo. È professore di Fisica all’Università del Mediterraneo, a Marsiglia (in Francia), e membro dell’Istituto Universitario francese. È autore di “Che cos’è il tempo? Che cos’è lo spazio?”, “Che cos’è la scienza. La rivoluzione di Anassimandro” e “Quantum Gravity”, tra gli altri suoi testi.
La scienza non è una certezza: per una filosofia della fisica
Carlo Rovelli: Agli studenti insegniamo che esistono alcune teorie sulla scienza. La scienza è un metodo ipotetico-deduttivo. Abbiamo delle osservazioni, abbiamo dei dati, e questi dati devono essere organizzati in teorie. Quindi, abbiamo delle teorie. Queste teorie sono suggerite o prodotte dai dati, quindi i dati devono essere verificati. Man mano che il tempo passa, abbiamo sempre più dati, le teorie evolvono, oltrepassiamo una determinata teoria e ne troviamo un’altra, che è migliore, perché è una migliore spiegazione dei dati, e così via.
Questo è il metodo standard di come funziona la scienza, il che implica che la scienza sia empirica nei contenuti: il contenuto più interessante e rilevante della scienza è il suo essere empirica nei contenuti. Dato che le teorie cambiano, i contenuti empirici sono la parte solida della scienza. Adesso, in tutto questo, c’è qualcosa che come scienziato teorico mi disturba. Sento che è andato perso qualcosa. Qualcosa che fa parte della storia. E mi sono chiesto: cosa è andato perso? Non sono certo di avere la risposta, ma vorrei presentare alcune idee su cosa sia la scienza.
Si tratta di una questione davvero importante per la scienza, e in particolare per la fisica, per questo mi permetto di essere polemico proprio nel mio campo, la fisica teorica: sono 30 anni che falliamo. Non ci sono stati grandi successi nella fisica teorica negli ultimi decenni, almeno dopo il Modello Standard.
Ovviamente ci sono molte idee, ma devono essere convalidate. La gravità quantistica a loop potrebbe essere giusta, o non esserlo. La teoria delle stringhe potrebbe essere giusta, o non esserlo. Al momento non possiamo saperlo, la natura non ci ha detto “sì” in modo definitivo.
Sospetto che ciò dipenda in parte dalle idee sbagliate che ci facciamo sulla scienza, o dal fatto che metodologicamente stiamo sbagliando qualcosa, almeno in fisica teorica e forse anche in altre discipline.
Lasciate che vi racconti una storia per spiegarvi cosa intendo. È una vecchia storia che riguarda la mia grande passione al di là della fisica teorica: c’è un antico scienziato, o tale lo ritengo, che si chiama Anassimandro. Ho cercato di capire quel che faceva e sono arrivato alla conclusione che era uno scienziato, perché faceva qualcosa che è veramente tipico della scienza. Che cosa? In breve la storia è questa.
Prima di lui qualunque civiltà del pianeta, chiunque in giro per il mondo, pensava che la struttura della Terra fosse: il cielo sopra la testa e la terra sotto i piedi. C’era un sopra e un sotto, gli oggetti pesanti cadevano dall’alto in basso e questa era la “realtà”.
La realtà quindi era orientata in alto-basso. Poi arriva Anassimandro e dice “no”: c’è dell’altro.
“La Terra è un corpo finito che galleggia nello spazio, senza cadere, e il cielo non sta soltanto sopra di noi, ma tutto intorno”.
Come ci è arrivato? Di certo guardando il cielo, si vede che ci sono cose che girano intorno e tornano al loro posto: le stelle, la luna, la volta celeste. È ragionevole pensarlo e quindi tutti dovrebbero esserne convinti, eccetto per il fatto che nessun altro lo era.
In secoli e secoli di civiltà, nessuno ci aveva pensato. I cinesi non lo seppero fino al XVII secolo, quando arrivò il gesuita Matteo Ricci che glielo disse. A dispetto di secoli di studi dell’Imperial Astronomical Institute. Gli indiani l’hanno scoperto quando i greci andarono a dirglielo. Gli africani, gli americani, gli australiani… nessun altro era giunto a questa semplice evidenza che il cielo non stava soltanto sopra la testa ma anche sotto i piedi. Perché?
Se è facile dire che la Terra galleggia nel nulla, è più difficile rispondere a un’altra domanda: perché non cade? Anassimandro, il genio, aveva la risposta. La conosciamo per tramite di Aristotele, perché Anassimandro non diede mai la risposta, si limitò a fare la domanda. Chiese: Perché dovrebbe cadere? Le cose cadono verso terra. Quindi perché la Terra dovrebbe cadere? In altre parole, aveva realizzato che la generalizzazione secondo cui tutti gli oggetti cadono, quindi anche la Terra cade, era sbagliata.
Propose, come alternativa, che gli oggetti cadono “verso” la Terra, ossia la direzione della caduta cambia attorno al globo. Il che significa che alto e basso diventano nozioni relative. Cosa che è piuttosto semplice da capire, ora che abbiamo afferrato l’idea. Ma se pensiamo a quando eravamo bambini e a quanto fosse difficile credere che a Sidney la gente vivesse sottosopra, allora necessitiamo di un cambiamento strutturale del nostro linguaggio per capire il mondo. In altre parole, sopra e sotto significano due cose differenti prima e dopo la rivoluzione di Anassimandro.
Lui ha capito la realtà, per primo, sostanzialmente cambiando qualcosa nella struttura concettuale con la quale afferriamo la realtà. Nel farlo, ha creato una teoria; ha capito qualcosa che resterà per sempre. Si tratta di una verità svelata, che in un certo senso è una verità negativa. Ci ha liberati dal pregiudizio radicato nella struttura concettuale che avevamo nel pensare allo spazio.
Perché penso che ciò sia interessante? Perché è quello che succede anche in fisica. Quando affido una tesi a uno studente, la gran parte delle volte il problema che gli affido non viene risolto. E non viene risolto perché la soluzione non sta nel rispondere a una domanda, ma nel farsi la domanda. La maniera in cui un problema viene formulato implica già un pregiudizio che andrebbe rimosso.
Se così è, allora l’idea che abbiamo dati e teorie, che siamo agenti razionali che costruiscono teorie dai dati usando la razionalità, il cervello, l’intelligenza e una struttura concettuale – e che ci destreggiamo tra questi dati e teorie – non ha alcun senso, perché ciò che cambia ad ogni passaggio non è la teoria, bensì la struttura concettuale utilizzata per costruire quella teoria ed esaminarne i dati. In altre parole, non cambia la teoria che stiamo portando avanti, ma il modo in cui pensiamo il mondo.
Il prototipo di questo modo di pensare – ovvero quello che ritengo l’esempio più chiaro – è la scoperta della relatività speciale da parte di Einstein. Da una parte c’era la meccanica newtoniana, che aveva un incredibile successo sul piano empirico, dall’altra parte c’era la teoria di Maxwell, con i suoi contenuti empirici anch’essi funzionanti. Ma tra le due c’era una contraddizione.
Dato che Einstein era andato a scuola e aveva imparato cosa fosse la scienza; dato che aveva letto Kuhn e la spiegazione che il filosofo dava della scienza; dato che era uno di quei miei colleghi scienziati che cercano soluzioni ai grandi problemi della fisica… cosa avrebbe dovuto fare?
Avrebbe dovuto dire: ok, i contenuti empirici sono la parte solida delle teorie. L’idea della meccanica classica secondo cui la velocità è relativa… dimentichiamola. Le equazioni di Maxwell… dimentichiamole, perché sono le parti labili della nostra conoscenza. Le due teorie devono essere cambiate. Teniamo quel che abbiamo di solido e modifichiamo la teoria, in modo che sia coerente con i dati.
Tuttavia questo non è ciò che Einstein ha fatto. Lui ha fatto il contrario. Ha preso le teorie molto sul serio. Ci ha creduto. Ha considerato la meccanica classica tanto vera che, quando dice che la velocità è relativa, l’ha presa seriamente. E le equazione di Maxwell erano così ben fate che le ha prese in parola. Aveva talmente tanta fede nelle due teorie, nel contenuto qualitativo delle due teorie – quel contenuto qualitativo che Kuhn dice mutevole nel tempo e quindi da non prendersi sul serio – che si è sentito pronto a fare cosa? Forzare la coerenza tra le due teorie per ottenere qualcosa di completamente diverso, qualcosa che è già nella nostra testa e nella maniera in cui percepiamo il tempo.
Einstein ha mutato qualcosa nel senso comune, qualcosa della struttura elementare con la quale pensiamo il mondo, sulla base della fiducia nei risultati passati della fisica. Ed è esattamente l’opposto di quel che si fa oggi in fisica. Se leggiamo la “Physical Review”, ci sono soltanto teorie che cambiano completamente le teorie precedenti: teorie senza l’invarianza di Lorentz, non relativistiche, senza covarianti generali o secondo cui la meccanica quantistica è sbagliata…
Qualunque fisico, oggi, è immediatamente pronto a dire: ok, tutto quello che sappiamo del mondo è sbagliato; lasciatemi cercare a caso una nuova idea. Ho il sospetto che non sia una parte marginale della mancanza da lungo tempo di successi in fisica teorica. Capiamo cose nuove sul mondo sia attraverso i nuovi dati che ci arrivano, sia pensando attentamente a quanto già sappiamo del mondo. Ma pensare significa accettare quel che sappiamo, cambiare quel che crediamo e rendersi conto che in quel che pensiamo potrebbe esserci qualcosa da modificare.
Qual è dunque l’aspetto del fare scienza che penso sia sottovalutato e debba essere portato avanti? Innanzitutto, la scienza è un modo per costruire visioni del mondo, arrangiando la nostra struttura concettuale, creando nuovi concetti inediti e cambiando gli “a priori” che abbiamo. Non c’è molto da fare nell’assemblare dati e organizzarli. Mentre c’è molto da fare nel modo in cui pensiamo, ossia la nostra visione del mondo. La scienza è un processo mediante il quale si esplorano i diversi modi di pensare, si trasforma la visione del mondo e se ne trovano di nuove che funzionino meglio.
Nel far ciò, quello che abbiamo imparato in passato è l’ingrediente principale, soprattutto le cose negative che abbiamo imparato. Se abbiamo appreso che la Terra non è piatta non potrà esserci, in futuro, una teoria per cui la Terra è piatta. Se abbiamo scoperto che la Terra non è il centro dell’universo, sarà così per sempre. Non si può tornare indietro su questo. Se abbiamo appreso con Einstein che la simultaneità è relativa, non possiamo tornare indietro alla simultaneità assoluta, come taluni vorrebbero. Ciò significa che quando un esperimento misura che i neutrini vanno più veloci della luce, dobbiamo essere molto sospettosi e controllare se non sia accaduto qualcosa di molto strano. Sarebbe assurdo, però, che qualcuno saltasse su esclamando: “Ok, Einstein aveva torto”, soltanto per una piccola anomalia riscontrata. La scienza non fa così.
Gli insegnamenti passati sono sempre con noi, come ingrediente fondamentale per la comprensione. Le idee basate sul “proviamo a immaginare come sarebbe, tanto perché no” non portano a nulla. Mi sembra di aver detto due cose che si contraddicono l’una con l’altra. Da un lato crediamo nella conoscenza, dall’altro siamo pronti a modificare radicalmente parte della nostra struttura concettuale del mondo. Eppure non c’è contraddizione, perché l’idea di una contraddizione nasce laddove si avvalori il grande fraintendimento della scienza: l’idea che la scienza sia una certezza.
La scienza non è una certezza. La scienza è trovare il modo di pensare più affidabile, allo stato attuale della conoscenza. La scienza è estremamente affidabile, ma non è certa. E non soltanto non lo è, ma si fonda sulla mancanza di certezza. Le idee scientifiche non sono credibili in quanto certe, bensì perché sono sopravvissute alle critiche; e sono credibili proprio perché stanno lì, a disposizione di qualsiasi critica.
L’espressione “scientificamente provato” è una contraddizione nei termini. Non esiste nulla di scientificamente provato. Il cuore della scienza è la consapevolezza che abbiamo idee sbagliate e pregiudizi. Abbiamo pregiudicato il pregiudizio. Nella nostra struttura concettuale può esserci qualcosa di non appropriato, che va rivisto per capire meglio. Quindi, in ogni singolo momento, noi abbiamo una visione della realtà che è effettiva, è buona, è la migliore che possiamo trovare. È la più credibile che abbiamo trovato ed è la più corretta.
Tuttavia, allo stesso tempo, non può considerarsi una certezza e ogni elemento “a priori” è aperto alla revisione. E perché lo facciamo continuamente? Da una parte perché abbiamo un cervello, evolutosi in milioni di anni. Si è evoluto per noi, per correre nella savana, per trovare il cibo e non farsi sbranare dai leoni. Abbiamo un cervello sintonizzato in metri e ore, che non è particolarmente affinato per gli atomi e le galassie. Quindi dobbiamo uscirne.
D’altro canto, penso che siamo stati selezionati per uscire dalla foresta, dall’Africa, per diventare il più veloci possibile, come animali che scappano dai leoni. Questo sforzo continuo è parte del cambiamento del nostro modo di pensare, del nostro adattarci, insomma è parte della nostra natura. Non possiamo cambiare separandoci dalla natura: la nostra storia naturale continua su questa via.
Se posso fare un ultimo commento sul mondo di pensare dello scienziato, o due ultimi commenti: il primo è che la scienza non è fatta di dati. I contenuti empirici delle teorie scientifiche non sono così rilevanti. I dati servono a suggerire la teoria, confermarla o disconfermarla, provarne l’erroneità. Sono quindi degli strumenti che noi usiamo. Quello che ci interessa è invece il contenuto della teoria, ciò che la teoria ci dice del mondo. La relatività generale dice che lo spazio-tempo è curvo. I dati della relatività generale dicono che il perielio di Mercurio si muove di 43 gradi ogni secolo, secondo i calcoli della meccanica newtoniana.
A chi importa? Chi si interessa di questi dettagli? Se questo fosse il contenuto della relatività generale, sarebbe una teoria noiosa. Invece è interessante, non per i dati, ma perché ci dice che oggi il miglior modo per concettualizzare lo spazio-tempo è una curva. Ci fornisce un modo migliore, rispetto alla meccanica newtoniana, per capire la realtà, giacché ci parla di buchi neri e di Big Bang. Questo è il contenuto di una teoria scientifica.
Tutti gli esseri viventi sulla terra hanno un antenato comune. Questo è il contenuto di una teoria scientifica, non il dato specifico utilizzato per verificare la teoria. Dunque l’obiettivo del pensiero scientifico dovrebbe essere, credo, il contenuto delle teorie, quelle passate soprattutto, quelle precedenti, per capire cosa dicono concretamente e cosa ci suggeriscono di cambiare nel nostro schema mentale.
La considerazione ultima che volevo fare riguarda il modo di comprendere della scienza e il lungo e secolare conflitto tra pensiero scientifico e pensiero religioso. Credo si tratti di un fraintendimento. La vera questione è: perché le due cose non possono vivere felicemente insieme? Perché le persone non possono pregare le loro divinità e studiare l’universo senza questo scontro continuo? Penso che lo scontro sia in parte inevitabile, ma per una ragione diversa dalle consuete. È inevitabile non perché la scienza pretenda di conoscere le risposte, bensì al contrario perché il pensiero scientifico ci ricorda costantemente che non conosciamo le risposte.
Per il pensiero religioso questo è inaccettabile: che la scienza dica “non so” e “come potrei saperlo?”. In molte religioni, o in alcune, o in alcuni modi di essere religiosi, è insita l’idea che debba esserci una verità, in cui credere e che non può essere messa in discussione. N simile modo di pensare è ovviamente disturbato da un pensare soggetto a continua revisione di quel che si pensa e del modo in cui si pensa.
Insomma, per riassumere, credo che la scienza non sia fatta di dati, non sia fatta di contenuti empirici, ma di una visione del mondo. Si tratta di superare le nostre idee e andare continuamente oltre il buon senso. La scienza è una perenne sfida al senso comune e il suo fulcro non è la certezza, ma l’incertezza. Direi anche che è la gioia di prendere quel che pensiamo, sapendo che probabilmente è pieno di pregiudizi ed errori, e provare a renderlo un po’ più vasto, perché c’è sempre un punto di vista più ampio sul futuro.
Siamo ben lontani dalla teoria ultima del mondo e nel mio campo, la fisica, siamo lontanissimi. Qualunque speranza di dire “bene, siamo qui e abbiamo risolto tutti i problemi” è un non senso. Siamo nel torto quando scartiamo teorie come la meccanica quantistica, la relatività generale o la relatività speciale, per avallare simili speranze: buttarle via soltanto per provare qualcosa a caso. Partendo da quel che sappiamo, impareremo altro ancora e conquisteremo nuove visioni delle cose; visioni che saranno sempre migliori e che continueranno ad evolvere.
Se questa è scienza, se la scienza funziona così, se questo è l’aspetto rilevante della scienza, allora è fortemente legato alla fisica che io pratico. Il modo in cui inquadro la fisica fondamentale in questo momento è fatto di diversi problemi. Uno di questi è l’unificazione: trovare una grande teoria del tutto. Più nello specifico, ed è il problema con il quale lavoro io, c’è la gravità quantistica. La gravità quantistica significa semplicemente fare una teoria quantistica della gravità, ossia come cadono le cose in un campo gravitazionale.
Si tratta di una questione di rilievo della relatività generale: la gravità è lo spazio-tempo, abbiamo appreso da Einstein. Fare una teoria della gravità quantistica significa capire cos’è lo spazio-tempo quantistico. E per far ciò, dobbiamo cambiare alcuni punti chiave del modo in cui pensiamo lo spazio e il tempo. Attualmente, al riguardo, ci sono due direzioni di ricerca: quella in cui lavoro, i loop, e le stringhe. Non si tratta semplicemente di due diverse equazioni, ma di differenti filosofie della scienza.
Quella alla quale lavoro io è basata sulla filosofia che ho appena descritto e che mi costringe a rivolgermi alla filosofia della scienza. Perché? L’idea è la seguente: il meglio che sappiamo sullo spazio-tempo è quello che abbiamo appreso dalla relatività generale. Il meglio che sappiamo sulla meccanica è quanto abbiamo appreso dalla meccanica quantistica. Sembra che ci sia una difficoltà ad attaccare questi due pezzi del puzzle: li giri, li rigiri, ma non si incastrano. Ma la difficoltà potrebbe essere nel modo in cui affrontiamo il problema. La migliore informazione che abbiamo dl mondo è già contenuta in queste due teorie, quindi prendiamo la meccanica quantistica il più seriamente possibile e crediamole quanto più possibile. Magari, allarghiamola un po’ fino alla relatività generale.
Prendiamo la relatività generale sul serio. Essa ha particolare modelli, specifiche simmetrie e caratteristiche. Proviamo a capirle fino in fondo e ad allargarle un po’, ad adattarle alla meccanica quantistica, fino a farne una teoria; anche una teoria che vada a contraddire quel che pensiamo.
Questa è appunto la via della gravità quantistica, la teoria dei loop, la strada alla quale lavoro, insieme ad altre persone. Ci porta in una direzione specifica, a una serie di equazioni e a una teoria.
La teoria delle stringhe, invece, va nella direzione opposta. In un certo senso dice: “Non prendiamo troppo sul serio la relatività generale, in quanto modello di come funziona l’universo” e ugualmente dice ella meccanica quantistica. Immaginiamo che la meccanica quantistica debba essere sostituita con qualcos’altro di diverso. Qualcosa di completamente nuovo, una sorta di grande teoria all’interno della quale i contenuti empirici della relatività generale e della meccanica quantistica hanno dei limiti.
Sono diffidente nei confronti di un’ambizione così enorme, perché non abbiamo gli strumenti per verificare una simile teoria immensa. La teoria delle stringhe è una bella teoria. Potrebbe funzionare, ma io sospetto che non sia così. E lo sospetto perché non è sufficientemente radicata in tutto ciò che sappiamo del mondo, e specialmente in quello che percepiamo e sappiamo dalla relatività generale.
La teoria delle stringe è una grande congettura. Credo che la fisica non sia mai stata una congettura. È stata un modo per imparare a pensare a qualcosa e imparare a pensare diversamente da qualcosa, sulla base delle informazioni di cui già disponevamo. Copernico non aveva nuovi dati o nuove idee, ha soltanto preso Tolomeo e ne ha letto i dettagli: gli equanti, gli epicicli, i deferenti. Il suo era un modo di guardare alla stessa costruzione da una prospettiva differente, per scoprire che la Terra non era il centro dell’universo.
Einstein, come ho già detto, ha preso molto seriamente la teoria di Maxwell e la meccanica classica, per arrivare alla relatività speciale. Similmente, la gravità quantistica dei loop è un tentativo di fare la stessa cosa: prendere sul serio la relatività generale, la meccanica quantistica, metterle insieme, per arrivare a una teoria nella quale non c’è il tempo, il tempo fondamentale, e dunque dobbiamo ripensare il mondo senza tempo. Si tratta di una teoria, malgrado ciò, molto conservativa, perché si fonda su quel che già sappiamo. Allo stesso tempo è molto radicale, perché forza un enorme cambiamento nel modo di pensare.
I teorici delle stringhe la pensano diversamente. Loro si affidano all’infinito, dove la covarianza della relatività generale non c’è più. Qui invece noi sappiamo cos’è il tempo e sappiamo cos’è lo spazio, perché sono a distanze asintotiche, ovvero grandi distanze. È una teoria diversa, nuova, ma a mia opinione molto più fondata sulle vecchie strutture concettuali. È ancorata a strutture concettuali esistenti e non a nuovi contenuti teorici che devono ancora essere provati sperimentalmente. Ecco dunque come il mio modo di interpretare la scienza collima con le specifiche ricerche alle quali lavoro, ossia la gravità quantistica dei loop.
Ovviamente non possiamo sapere quale delle due sia giusta. Voglio essere molto chiaro. Penso che la teoria delle stringhe sia un grande sforzo di andare avanti, fatto da persone altrettanto grandi. La mia unica polemica nasce quando sento – anche se adesso sempre meno – “abbiamo la soluzione ed è la teoria delle stringhe!” Questo è senz’altro sbagliato e falso. Quello che è vero è che siamo dinanzi a un buon insieme di idee, così come la teoria dei loop è un altro buon insieme di idee. Dobbiamo aspettare e vedere quale delle due teorie funzionerà e verrà confermata sul piano empirico.
Ciò mi porta a un’altra questione: uno scienziato dovrebbe pensare come un filosofo, oppure no?
È una specie di moda oggi rifiutare la filosofia, dire “tanto abbiamo la scienza, non ci serve la filosofia”. Trovo che sia un’attitudine ingenua per due ragioni: la prima è storica. Basta guardarsi indietro. Heisenberg non avrebbe mai elaborato la meccanica quantistica, senza le sue nozioni filosofiche. Einstein non avrebbe mai scritto la relatività, senza aver letto i filosofi ed essersi nutrito di filosofia. Galileo non avrebbe mai raggiunto i suoi risultati, senza avere in testa Platone. Newton si considerava un filosofo e prese a discutere con Cartesio di questioni fortemente filosofiche.
Anche Maxwell, Boltzmann, credo, e tutti coloro che hanno compiuto grandi passi nella scienza del passato erano persone molto consapevoli delle problematiche inerenti la metodologia, i fondamenti e le domande metafisiche. Quando Heisenberg ha pensato la meccanica quantistica, la sua mente era totalmente filosofica. Disse che nella meccanica classica c’era qualcosa di sbagliato dal punto di vista filosofico: non c’era sufficiente enfasi sull’empirismo. È proprio questa lettura filosofica che lo ha condotto a costruire questa nuova e fantastica teoria, una teoria scientifica, che è la meccanica quantistica.
Il divorzio, in termini di dialogo, tra scienza e filosofia è piuttosto recente, risale al dopoguerra, nella seconda metà del XX secolo. Si tratta di un dialogo che ha funzionato perché nella prima metà del secolo la gente era davvero intelligente. Einstein e Heisenberg, Dirac & Co. hanno messo insieme la relatività, la meccanica quantistica e una quantità enorme di lavoro concettuale. La fisica della seconda metà del secolo è stata, in un certo senso, una fisica che ha applicato le grandi idee di queste persone vissute negli anni ’30, dei vari Einstein e Heisenberg.
Quando vuoi applicare queste idee, quando passi alla fisica atomica, ti servono meno riferimenti concettuali. Ma ora siamo tornati alle basi, in un certo senso. La gravità quantistica non è una semplice applicazione. Penso che gli scienziati che non credono alla filosofia, mentono, perché hanno comunque una filosofia. Hanno e usano una filosofia della scienza. Applicano un metodo. Hanno la testa piena di idee circa la filosofia che seguono nel loro lavoro; solo che non ne sono consapevoli e le prendono per scontate, come se fossero ovvie e lampanti.
Eppure, sono tutt’altro che ovvie e lampanti. Stanno prendendo una posizione senza sapere che ci sono molte altre possibilità intorno a loro per lavorare anche meglio e con maggior interesse, persino.
Credo esista una ristrettezza mentale in molti dei miei colleghi scienziati che non vogliono saperne della filosofia della scienza. C’è altrettanta ristrettezza mentale in molte aree della filosofia e della cultura umanistica, che si rifiutano di apprendere dalla scienza. La cultura, qualsiasi cultura, allarga la mente. Sto sfondando una porta aperta, ma limitando la nostra visione della realtà al solo contenuto della scienza o della cultura umanistica significa essere ciechi alla complessità della realtà, che possiamo cogliere da molti punti di vista differenti, ognuno in grado di insegnare qualcosa all’altro.
Fonte: Edge, 5 luglio 2017