Il vuoto è fatto di materia

Trovare il nulla: conversazione con il premio Nobel Frank Wilczek

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Una goccia traslucida di acqua palustre si aggrappa alle superfici di una ninfea, immobile e serena. Ma quando viene posta sotto la lente di ingrandimento, l’immagine si trasforma e vediamo un altro mondo, che pulsa di vita esotica.

I fisici hanno riscoperto il vuoto. Attraverso una teoria e un esperimento, è stata rivelata una dimensione più profonda della complessità in agguato.

Il premio Nobel Frank Wilczek ha raccontato il ricco mondo del “nulla” in una conferenza intitolata “La sostanza del vuoto: riflessioni tardive di un fisico”.

Wilczek ha iniziato la sua conferenza parlando della profonda analogia tra la materia e il vuoto. Ciò che i nostri sensi percepiscono come spazio vuoto è in verità un ambiente fluttuante di particelle virtuali, che risplendono e muoiono su scale estremamente piccole di spazio e di tempo, un po’come una sorta di nebbia che permea l’intera dimensione spaziale e detta le proprietà delle particelle elementari.

Una vacuità pregnante.

Per fornire una metafora di questa nuova visione della realtà, Wilckzek ha chiesto ai suoi interlocutori di immaginare un pesce intelligente all’interno di un mondo circondato di acqua. Una simile creatura percepirebbe l’acqua circostante come uno spazio vuoto, o come il vuoto stesso. “L’idea che voglio trasmettere è semplice: noi siamo come questi pesci”, ha detto il fisico. Quello che i nostri sensi decifrano come spazio vuoto è in realtà una sostanza, è materia.

Proprio come il mondo fatto di acqua del pesce intelligente può cambiare il suo stato da ghiaccio a vapore, anche il vuoto è capace di transizioni analoghe. Una di queste ha probabilmente dato vita al nostro universo, all’incirca 13 miliardi di anni fa. Concetto, questo, esplorato in dettaglio da Krauss, nel suo scritto “L’universo dal niente: perché esiste qualcosa di più del nulla” (Atria Books, 2013).

Altre transizioni, dagli stati iniziali di vuoto quantistico, possono aver dato ugualmente origine a universi alternativi, che potrebbero essere nati e cresciuti seguendo leggi fisiche uniche e a noi sconosciute, determinate dallo specifico stato iniziale di vuoto. Questi candidati di ciò che è stato definito il multiverso (o meta-universo) potrebbero addirittura avere leggi fisiche ostili alla materia convenzionale. Si tratterebbe di universi nati morti, privi di stelle, galassie e qualsiasi forma di vita, che comunque potrebbero esistere.

Wilczek ha poi presentato alcune pietre miliari della strada che ha portato al concetto di vuoto, inteso come materia primaria. Nel 1905, Einstein ci ha fornito l’idea rivoluzionaria che la luce avesse una natura corpuscolare, nella quale l’energia è contenuta in forma di pacchetti discreti o fotoni. Una scoperta meno nota – ma altrettanto critica – è stata quella, sempre da parte di Einstein, della vibrazione dei cristalli, noti come fononi, che condividono un certo numero di proprietà cruciali con i fotoni. Wilczek propone la possibilità che gli abitanti di un mondo basato sul silicio identifichino i fononi come particelle elementari. Per la stessa ragione, le nostre particelle elementari potrebbero essere ugualmente comprese come piccoli eccitamenti della materia dello spazio vuoto.

L’etere torna indietro.

Gli argomenti di Wilczek hanno portato a una domanda fondamentale sull’esistenza di un mezzo di riempimento spaziale attraverso il quale potrebbero viaggiare onde sonore e particelle leggere o elementari. Questo mezzo, noto come etere, esisteva già tra i filosofi e gli studiosi come Aristotele e Cartesio, ma è stato radicalmente eliminato dalla scena della meccanica da Isaac Newton, il cui enorme successo nel calcolare i movimenti dei corpi celesti sembrava risolvere la questione, almeno per un certo tempo.

C’erano tuttavia alcuni problemi lampanti, che Newton riconosceva ma che non era in grado di affrontare. Il più fastidioso era proprio come una forza quale la gravità potesse raggiungere e influenzare oggetti enormi, come stelle e pianeti, e farlo istantaneamente, attraverso lo spazio vuoto e senza etere. Se questa controversa “azione a distanza” disturbò Newton, ossessionò anche – ma positivamente – Albert Einstein, la cui soluzione radicale del problema della gravità è stata codificata nella teoria della relatività generale, una delle più sorprendenti intuizioni sulla natura della realtà mai concepita.

Anche prima di Einstein, comunque, alcuni fisici hanno fatto sforzi notevoli per reintrodurre il concetto di etere, affezionandosi all’idea che lo spazio fosse una sorta di stadio vuoto, nel quale la materia danza e si esibisce, proprio come Newton immaginava.

Il brillante fisico scozzese James Clerk Maxwell nel XIX secolo ha ripreso il concetto di etere, parlando di campi pervasivi dello spazio per spiegare il comportamento dell’elettricità e del magnetismo. Il suo complesso modello non è esteticamente e intellettualmente soddisfacente, ma aveva per Maxwell – un devoto protestante – un significato religioso, poiché dimostrava che la scintilla dell’universo era opera della presenza di un Creatore. Come ebbe a scrivere: “Le vaste regioni interplanetarie non saranno più considerate luoghi desolati dell’universo, che il Creatore non ha ritenuto opportuno riempire con i simboli del suo Regno”.

Da principio, Einstein mise in dubbio questa idea, insistendo sul fatto che l’etere non fosse necessario, anche se in seguito avrebbe ammesso che “una più attenta riflessione ci insegna… che la teoria della relatività speciale non ci obbliga a negare l’etere”. Infatti, il concetto di spazio-tempo di Einstein, introdotto nella sua teoria generale della relatività, può essere considerato come l’ultimo etere – ossia un medium altamente dinamico, le cui traiettorie, curve e torsioni rappresentano quella forza che chiamiamo gravità – “un etere, se mai ce ne fosse uno”, come afferma Wilczek.

Più di recente, la scienza ha scoperto che la materia dello spazio-tempo può anche risuonare, evento del quale il mondo è stato testimone il 14 settembre 2015, alle 5:51 del mattino, quando un paio di strumenti conosciuti come LIGO ha rilevato le onde gravitazionali, ossia forti increspature dello spazio-tempo nato dalla fusione di due buchi neri.

Dopo la sua conferenza, Wilczek si è dilungato su […] come questa nuova comprensione del cosmo possa invogliare gli esseri umani a trascendere l’osservazione passiva del circostante e diventare creatori di nuovi universi, attraverso la manipolazione intelligente dei substrati della materia.

Per esempio, due nuove dimensioni della materia, come il grafene (un singolo strato di atomi di carbonio), possono dare origine a inusuali particelle di memoria tampone, i cosiddetti anioni, che potrebbero un giorno trovare applicazione nei computer quantistici. Wilczek ha menzionato anche i cristalli di tempo, da lui teorizzati, dei quali oggi è stata dimostrata l’esistenza.

Nelle osservazioni finali, ha esaminato la questione della materia oscura, dell’energia oscura e degli sviluppi della fisica al di là del Modello Standard, la descrizione scientifica fino ad oggi più riuscita delle particelle fondamentali e delle forze che costituiscono i pilastri della nostra realtà. A dispetto delle molte intuizioni prodotte dalla fisica contemporanea, le descrizioni correnti lasciano alcune questioni vitali irrisolte. Wilczek cita le conoscenze acquisite e i misteri che ancora ci confondono come duplice volto dell’inesauribile bellezza della vita.

Fonte: Richard Harth, Arizona State University Now, 8 febbraio 2017. Estratto. Per la versione integrale