Stephen Hawking lo conoscono tutti: lo scienziato più famoso al mondo dopo Albert Einstein, tanto per la sua brillante carriera, quanto per la sua straordinaria vicenda umana. Immortalato in film e serie TV, abbiamo tutti grande familiarità con la sua voce metallica e il suo senso dell’umorismo.
Pochi conoscono invece le sue teorie, forse perché la fisica teorica resta una delle discipline più difficili da divulgare. E sono ancora meno quelli di noi che hanno sentito parlare del “paradosso di Hawking”, per il quale il comportamento dei buchi neri mette due teorie fondamentali della fisica una contro l’altra.
Infatti, se da un lato la teoria della relatività generale di Einstein ci dice che l’informazione fisica che entra in un buco nero non può più uscirne, dall’altra la meccanica quantistica sostiene che ciò sia possibile.
Una nuova ricerca sembrerebbe aver risolto il problema, grazie a tecniche matematiche che permettono di dimostrare l’esistenza dei cosiddetti “capelli quantici”. Lo studio, guidato dall’Università del Sussex, ha visto la partecipazione di scienziati provenienti da altri atenei, tra i quali il Prof Roberto Casadio dell’Università di Bologna.
Il teorema no hair
Partendo dal presupposto che i buchi neri sono gli oggetti più misteriosi del nostro universo, una delle teorie che li descrivono prende in considerazione i parametri classici che li caratterizzano: massa, rotazione e carica elettrica. In pratica, tutte le informazioni che tentiamo di raccogliere sui buchi neri spariscono dietro l’orizzonte degli eventi, oltre il quale nessun evento può influenzare un osservatore esterno.
Nel colorito immaginario di John Wheeler, il divulgatore più noto in questo campo, queste informazioni sarebbero i “capelli” del buco nero, che sarebbe dunque calvo, da qui il bizzarro nome della teoria.
Secondo il nuovo studio, i buchi neri sarebbero più complessi: la materia che collassa al loro interno lascerebbe un’impronta, seppur debole, nel suo campo gravitazionale. Sarebbe proprio questa a fornire il meccanismo attraverso il quale le informazioni vengono conservate. Insomma, il buco nero non è più calvo, tutt’altro…
Una soluzione a lungo attesa
Questa nuova teoria “yes hair” sostiene dunque di aver colmato la distanza tra la relatività generale e la meccanica quantistica. L’esistenza dei capelli quantici permette all’informazione che entra in un buco nero di uscirne senza violare nessuno dei principi fondamentali delle due teorie.
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Il team di ricerca prevede, tuttavia, che ci vorrà del tempo prima che questa elegante soluzione venga accettata nel mondo della fisica teorica, perché si trattata di una questione annosa e ben radicata.
Da quando Stephen Hawking ha formulato il paradosso, negli anni ’70, tutti i fisici più famosi si sono cimentati nel cercarne la soluzione. La teoria del “firewall”, proposta nel 2012 da Ahmed Almheiri e altri, sosteneva ad esempio che le informazioni bruciano prima di entrare in un buco nero; quella del “fuzzball”, teorizzata nell’ambito delle superstringhe, dice invece che i confini dei buchi neri sono sfocati. Qualcuno ha persino tentato di riscrivere la teoria quantistica per “adattarla” alle caratteristiche dei buchi neri.
Gli scienziati della Sussex University e i loro colleghi riconoscono la difficoltà di accettare una soluzione semplice a un problema così a lungo dibattuto. Ma se la teoria riuscirà a superare lo scrutinio dei suoi pari, potrebbe rappresentare il primo passo per collegare la teoria della relatività, che riguarda essenzialmente la gravità, e la meccanica quantistica che ha invece a che fare con l’elettromagnetismo e altre forze nucleari, superando una volta per tutte la reciproca incompatibilità.
“Non correre mai dietro un bus, una donna o una teoria cosmologica,” consigliava Wheeler. “Ce ne sarà sempre un’altra nel giro di pochi minuti.” Speriamo, allora, che questa teoria del buco nero “capellone” si affermi presto e trovi i fisici tutti d’accordo, prima che vengano elaborate altre ipotesi e nuovi metodi di calcolo ne confermino l’esistenza soppiantandola prematuramente.
Foto di AlexAntropov86 da Pixabay