È opinione diffusa tra fisici che la relatività abbia da insegnarci qualcosa di particolarmente significativo e profondo sulla natura del tempo ed è convinzione comune — anche tra fisici — che questa esoterica lezione passi attraverso sconcertanti “paradossi”.
Entrambe queste posizioni sono largamente ingiustificate e nascono sia da una serie di problemi interpretativi del formalismo che da una pessima letteratura divulgativa. Partiamo dalla relatività ristretta (RR).
Innanzitutto non è una teoria ma più propriamente un requisito di coerenza che si richiede ad ogni teoria fisica che descrive un’interazione in termini di campo. Questo requisito consiste sostanzialmente in due postulati:
- Isotropia ed omogeneità dello spazio-tempo rispetto a tutte le leggi fisiche;
- Esistenza di una velocità universale limite per la propagazione di ogni segnale nell’universo, limite che viene individuato nella velocità della luce c (circa 300.000 km/sec).
Da questi due postulati si ricavano le note trasformazioni di Lorentz, che stabiliscono le relazioni tra le misure di spazio e di tempo tra due osservatori inerziali, osservatori cioè d’accordo con i due postulati (a) e (b).
Vediamo adesso di capire dove nascono le cose “strane”. Il “vecchio” gruppo di Galilei esprimeva l’uniformità dello spazio-tempo (postulato a), ammettendo però implicitamente la possibilità di una propagazione istantanea delle interazioni e quindi un tempo assoluto, valido per tutti gli osservatori inerziali.
Nella fisica classica, dunque, un segnale può raggiungere tutti gli osservatori simultaneamente. Questo non è più vero nella fisica relativistica e la stessa nozione di simultaneità di due eventi viene ad avere un senso preciso soltanto all’interno di uno specifico sistema.
Dal gruppo di Lorentz si deduce che le misure spaziali e temporali di due osservatori inerziali sono relative al loro stato di moto. In particolare, in un sistema di riferimento si avranno degli “effetti relativistici” tanto più marcati quanto più la velocità di questo sarà vicina alla velocità limite della luce: si tratta della contrazione di Lorentz-Fitzgerald, per cui gli oggetti si contraggono nella direzione del moto, e della cosiddetta dilatazione del tempo, che prevede un “rallentamento” dei processi fisici.
Questa previsione è stata verificata sperimentalmente oltre ogni ragionevole dubbio, ad esempio portando alle alte velocità delle particelle sub-atomiche instabili e misurando un effettivo allungamento della loro vita media. In modo ancor più clamoroso, Hafele e Keating nel 1971 eseguirono una verifica con orologi macroscopici nell’esperimento “clocks around the world experiment”: furono sincronizzati a terra due orologi atomici di altissima precisione e poi uno fu portato a spasso per il mondo su un aereo di linea.
Al ritorno l’orologio che aveva viaggiato era “più giovane” dell’altro nella misura prevista dalla formula del “rallentamento degli orologi”. Una semplice verifica del famoso “paradosso dei gemelli”!
In realtà in tutto questo non c’è niente di paradossale. Gli aspetti controintuitivi nascono all’interno della vecchia concezione “relazionale”, secondo la quale gli effetti relativistici sono puramente cinematici ed apparenti, dovuti al moto relativo di due osservatori inerziali, una specie di effetto “deformante” dovuto al movimento.
Secondo la più recente interpretazione “neo-lorentziana”, invece, abbiamo a che fare con effetti fisici reali. In questo caso ogni aspetto paradossale scompare e si ha un pieno accordo con le verifiche sperimentali. Restano aperti però alcuni problemi legati al concetto di simultaneità. Consideriamo due osservatori inerziali in moto relativo uniforme, U e V, testimoni di due eventi A e B. Per la relatività della simultaneità può accadere che mentre per U l’evento A preceda B, per V sia il contrario.
A questo punto si presentano due possibilità:
- U e V rivendicano ognuno un’esclusiva sulla “versione corretta” della sequenza, oppure
- riconoscono la legittimità di tutte e due le descrizioni.
La prima opzione , che potremmo definire “dittatoriale”, è insostenibile, poiché entrambi gli osservatori sono su un piano di assoluta equivalenza rispetto alle leggi fisiche. La seconda scelta, quella “democratica”, è sicuramente più sensata, ma non elimina alcune ambiguità di fondo.
Soffermiamoci un po’ sul caso particolare in cui un certo evento, poniamo A, sia considerato passato da U, mentre per V è da collocarsi nel futuro, poiché non ne ha ancora ricevuto alcun segnale. In questa situazione l’opzione “democratica” conduce all’idea che, in generale, il futuro sia fissato e che l’intero spazio-tempo debba essere “già lì”, relegando l’asimmetria temporale, il continuo “svolgersi” dell’universo attraverso i processi fisici, ad una sorta di non meglio specificata “sensazione della coscienza”.
In effetti, una tale concezione “statica” dello spazio-tempo pare che sia stata adottata dallo stesso Einstein e teorizzata da alcuni grandi matematici come H. Weyl e L. Fantappié.
A ben guardare però, una simile concezione è non soltanto improponibile dal punto di vista di una scienza sperimentale (cosa vuol dire che “il futuro è già esistente” e come possiamo verificarlo?), ma è assolutamente non richiesta dal formalismo relativistico.
Innanzitutto notiamo che l’osservatore per cui un certo evento è ancora nel futuro è semplicemente un osservatore che non ha ancora ricevuto alcuna informazione su quell’evento, per via della velocità finita di propagazione delle interazioni, e questo è ben diverso dall’affermare che il futuro di questo o di ogni altro osservatore è già scritto!
In altre parole, la complessa rete di segnali tra tutti gli osservatori dell’universo non può essere certo più grande dell’universo stesso e, comunque vengano registrate le informazioni sugli eventi dai vari osservatori, questo non ci autorizza a dire che il futuro dell’universo nella sua totalità esiste già nello stesso modo in cui esiste una località verso la quale viaggiamo e non siamo ancora arrivati.
Bisogna pensare allora se non sia il caso di considerare la cosa da un punto di vista globale, chiedendosi dove collocare gli eventi A e B e gli osservatori U e V. Esiste una super-struttura nel mondo fisico alla quale tutti gli osservatori possono fare riferimento? Esiste nello spazio-tempo un posto “privilegiato” dove “attaccare l’orologio”?
Queste sono domande antichissime nella storia fisica, Come è noto, I. Newton, il fondatore della fisica teorica, rispondeva affermativamente, ipotizzando l’esistenza di una sostanza fondamentale in riferimento alla quale definire uno spazio ed un tempo assoluti, mentre il suo contemporaneo Leibniz sosteneva l’idea di uno spazio ed un tempo relativi, utili soltanto come “relazioni tra cose materiali”, idea che prefigurava in qualche modo certe interpretazioni della relatività di cui abbiamo già detto. Per cercare una nostra risposta dovremo riferirci ancora una volta alla teoria quantistica ed ai più recenti scenari cosmologici.