Lucia Votano ci racconta il suo nuovo libro

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Come tutti i libri della collana I Dialoghi anche La via della seta, la fisica da Enrico Fermi alla Cina è un’intervista con Lucia Votano, la prima donna a dirigere i Laboratori Nazionali del Gran Sasso dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare. Donna, cresciuta al Sud e con un curriculum da scienziata, tre aspetti della nostra società contemporanea che necessitano, a vario titolo, di sapiente attenzione e maggior supporto.

Queste le parole che aprono il suo nuovo libro, una via di mezzo tra una biografia e un diario storico della fisica moderna. Un viaggio da Fermi al neutrino.

Si potrebbe correttamente definire la Scienza come il mestiere di capire i fenomeni naturali ma io preferisco l’arte del conoscere la natura, in omaggio a un’idea unitaria di Cultura che amplifica il valore della somma dei saperi in cui si coniuga.

La via della seta
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Ho dedicato la mia vita professionale alla ricerca scientifica in fisica e, in effetti, tutti noi che esercitiamo questo mestiere ci sentiamo un po’ degli artisti o artigiani, cui si chiede altrettanta creatività che nelle Arti. E ancora, proseguendo nell’analogia, le esigenze della Ricerca ci portano necessariamente a girare il mondo.

Ho iniziato il mio percorso di studi a metà degli anni ’60 nell’Istituto di Fisica dell’Università La Sapienza di Roma, erede diretto della scuola di Enrico Fermi e dei ragazzi di via Panisperna, per approdare oggi, e non per un accidente casuale, nella Cina meridionale, dove si sta realizzando un gigantesco esperimento di nome JUNO dedicato alla fisica dei neutrini.

I paesi asiatici, soprattutto Cina e Giappone, hanno in effetti assunto un ruolo rilevante, direi predominate, nell’ambito della ricerca sui neutrini, queste straordinarie particelle elementari che devono il loro nome proprio a En­rico Fermi.

Con amara ironia potremmo accontentarci del fatto che questo “carattere italiano” sia stato riconosciuto nella sitcom The BingBang Theory, dove il protagonista Sheldon Cooper dice di essere pazzo di un pupazzo – Gino il neutrino – rappresentato con capelli scuri, folte sopracciglia e baffoni, con indosso una maglietta a righe da barcaiolo, sotto il camice da laboratorio, secondo i migliori stereotipi sugli Italiani.

Posso a ragione quindi dire che ho percorso una mia particolare via della seta che, dopo le ricerche al CERN di Gi­nevra, in Germania e al Laboratorio del Gran Sasso, mi ha portato a inseguire i neutrini fino in Cina.

Alcuni anniversari possono per ciascuno di noi assumere un rilievo del tutto speciale.

Le celebrazioni nel 2016 – per i settant’anni da quando nel 1946 le donne hanno esercitato per la prima volta in Italia il diritto di voto – sono state per me, che sono nata alla fine del 1947, un’occasione per riflettere su quanto sia cambiato il nostro Paese e come la mia storia personale s’intrecci, sotto molteplici aspetti, con quella dell’Italia repubblicana sin dalla sua nascita, a cominciare dall’articolo nove della Costituzione – “La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione” – articolo rilevante, alla luce del mio percorso professionale.

Quando nel 2010 ho ricevuto a palazzo Giustiniani il Premio dell’Associazione “Guido Dorso”, patrocinato dal Senato della Repubblica, nel ringraziare, ho sottolineato come vi leggessi il riconoscimento a una rappresentante di tre criticità dell’Italia: sono una persona cresciuta nel profondo Sud, una donna e una scienziata.

Oggi posso quindi ripercorrere la storia italiana contemporanea – non con l’occhio dello storico che si pone come obiettivo l’acquisizione di una conoscenza oggettiva del passato – ma guardando al percorso della scienza, in particolare della fisica, così com’è stato vissuto dagli anni ’70 in poi da una ricercatrice di fisica delle particelle elementari, donna e nata al Sud, che ha potuto proiettarsi in un ambito internazionale.

D’altra parte neanche la Storia è un algido elenco di tutti i fatti accaduti in un determinato periodo, bensì una forma di memoria collettiva, una mappa su cui si stratificano gli avvenimenti che ogni comunità o gruppo umano ha ritenuto e memorizzato come i più rilevanti.