Abbiamo incontrato Marilena Rea, traduttrice e curatrice del romanzo fantasy C’era una volta Jaga, il romanzo che racconta l’adolescenza della strega Baba Jaga e la sua storia d’amore con Kascej il guerriero delle steppe.
Baba Jaga è sicuramente il personaggio più famoso del folklore russo e abbiamo chiesto a Marilena di raccontarcelo un po’ per conoscerlo meglio.
«Insieme a Di Renzo Editore abbiamo dato alle stampe in Italia una storia veramente originale che la scrittrice russa Marina Višneveckaja ha creato. È un genere veramente particolare, una storia speciale che prova a ipotizzare quale sia stata l’infanzia e l’adolescenza della strega russa più famosa nel mondo; la Baba Jaga.
Il racconto fantasy infatti prova a ipotizzare un’infanzia in cui la bambina, la piccola Jaga, intraprende la strada della stregoneria e il suo nemico, inizialmente facente parte dell’esercito avversario, il guerriero delle steppe Kascej, a sua volta bambino sta per scoprire insieme a lei quali siano i suoi poteri.
Anche Kascej fa parte degli eroi magici della mitologia russa e in questo libro ci viene presentato proprio alle origini quando era un piccolo guerriero che ancora non sospetta quali siano i suoi grandissimi poteri e quale sia il destino a cui andrà incontro».
Baba Jaga nella tradizione russa e anche slava è un personaggio un po’ ambiguo, perché a volte aiuta e a volte invece punisce chi la incontra?
«Nelle storie e nelle fiabe popolari russe, Baba Jaga effettivamente è una strega cattiva ma non sempre. Innanzitutto lei vive ai margini di un bosco dall’altra parte di un fiume e si nasconde dentro una casetta che viaggia sulle zampe di gallina. Lei è una strega di cui tutti i personaggi delle fiabe russe hanno una gran paura. Non perché faccia incantesimi e sortilegi, quanto piuttosto perché è disposta a offrire il suo aiuto soltanto se, ad esempio, il principe che va alla ricerca della principessa da liberare riesce a indovinare la parola magica per entrare dentro la sua casa.
Baba Jaga effettivamente è una strega che fa paura, è una strega che fa sortilegi, ma secondo la tradizione russa, se un eroe alla ricerca ad esempio della principessa perduta riesce a scoprire quale sia la chiave per avere la sua benevolenza, Baba Jaga lo può aiutare ed è per questo che nella storia dell’immaginario russo è uno dei personaggi più amati.
È una strega che conosce le arti magiche, conosce le possibilità di modificare le leggi della natura a suo vantaggio e gli eroi, gli esseri umani, devono cercare in tutti i modi di ottenere i suoi benefici perché possano raggiungere gli scopi importanti della vita come trovare la donna che hanno perso oppure ereditare un regno che spetta loro».
È un personaggio che aiuta i buoni di cuore e quelli puri che si presentano a lei ed è contraria ai cattivi o chi vuole con la furbizia ingannarla?
«È così; tra l’altro lei, come in tutte le fiabe tradizionali e popolari, si circonda di aiutanti che possono essere gatti, cani, gli alberi e le betulle che la proteggono dai malintenzionati. Tuttavia, quando l’eroe persegue grandi scopi, come appunto trovare la donna da liberare e da sposare, Baba Jaga è disposta ad aiutare sempre secondo le regole della Magia».
Nella tradizione russa non c’è una traccia dell’adolescenza di Baba Jaga. L’autrice da dove è partita e come si è ispirata?
«La tradizione russa ci fa conoscere Baba Jaga soltanto da strega molto vecchia che vive rintanata in cattività e isolata. In realtà Marina Višneveckaja ha lavorato sull’infanzia e su un’adolescenza facendo appello a tutta la sua grande fantasia e anche la sua esperienza di scrittrice di storie per bambini.
La Višneveckaja scrive famosissimi programmi televisivi per bambini in Russia. Questa è stata una delle sue principali attività lavorative negli anni precedenti e vediamo in questo libro tutta una schiera di personaggi mitologici: dèi e demoni che sono propri dell’antica mitologia slava, quella precedente alla cristianizzazione della Russia. Un po’ ha fatto un’operazione fantasiosa immaginifica, però allo stesso tempo anche molto rigorosa perché mette in campo dèi e divinità esattamente come questi sono nell’antica mitologia slava, come sono stati tramandati dalla cultura tradizionale russa».
In generale Jaga è stata definita come un personaggio abbastanza femminista nei racconti fantastici. Anche in questo libro resta l’autrice resta un po’ fedele a questo aspetto del personaggio; invece il guerriero che ruolo ha?
«L’altro protagonista di questo romanzo fantasy che è Kascej. Ha un ruolo molto positivo perché è il compagno di avventure di Jaga e cresce insieme a lei scoprendo la complessità del mondo. Kascej è un bambino di un popolo guerriero oppositore a quello di Jaga che però viene fatto prigioniero e viene condotto nel villaggio dove la piccola Jaga è destinata a diventare la futura principessa. I due bambini si innamorano, sono affini, sono due anime elette e vivono insieme grandi avventure nel bosco, nel fiume contro un acerrimo nemico comune che è il fratellastro serpente di Jaga.
Kascej nella mitologia slava è una divinità, un semidio che custodisce i segreti della vita e della morte e anche questo personaggio, oggi nella mitologia è conosciuto per essere cattivo, ridotto all’osso fino a sembrare uno scheletro.
Tuttavia Marinan Višneveckaja ce lo presenta nel pieno del suo sviluppo come appunto fosse un ragazzo di 12 anni che incontra dèi, affronta battaglie e scopre le leggi della vita e in conclusione del romanzo anche della morte».
Sono diversi fisicamente, lei bionda e lui invece viene descritto, come tutto il suo popolo, con la carnagione più scura come se ci fosse una contrapposizione proprio tra due diversità.
«Jaga è descritta come la perfetta principessa russa, con i capelli biondi e questi occhi meravigliosi che attirano l’attenzione di tutti. Invece Kascej, proprio perché straniero, perché altro e diverso, si presenta selvaggio con i capelli di un colore nero corvino ma con i suoi occhi che rivelano il cielo e infatti il cielo sarà il regno a cui è destinato Kascej».
Alla fine di questo fantasy, l’autrice svela in qualche modo anche la Jaga come la conosciamo noi.
«Fa appunto capire che da lì in poi Jaga avrà un altro destino. Questa visione della strega come una donna che è capace di sfruttare i propri poteri della natura a vantaggio degli esseri umani è una visione molto antica e anche molto originale che non ha molto a che fare con la nostra visione italiana, un po’ occidentalizzata, della strega come un personaggio malvagio. Quindi Jaga, alla fine del romanzo, dopo averne vissute veramente tante, accetta il suo destino e comprende che i personaggi importanti, i personaggi con i superpoteri, sono obbligati a dover compiere il proprio destino proprio perché sono chiamati da una forza superiore a fare grandi imprese».
Il romanzo è diviso in quattro parti e ogni parte ha una piccola introduzione in cui vengono poste molte domande proprio sul ruolo delle divinità, sul destino del mondo. Qual è la funzione, nell’economia del romanzo, di queste piccole introduzioni?
«Ogni parte presenta delle domande di tipo esistenziale. Cosa sono gli uomini? Cos’è la vita? Cosa siano le illusioni che si fanno gli uomini. In questo romanzo c’è una bellissima contrapposizione fra il mondo degli dèi e il mondo degli umani. Gli umani sembrano persi nelle loro mille domande a cui non ci può essere risposta perché la loro capacità di capire è spuntata, ma anche il mondo degli dèi a volte è contraddittorio perché anche gli dèi sono vittime spesso di incomprensioni di bugie e di quesiti a cui non riescono a dare risposta.
In questo libro ci sono tante domande della vita e Marina Višneveckaja è una maestra nel saper creare un’evoluzione narrativa a partire proprio da queste domande un po’ spiazzanti. I lettori che leggeranno questo libro resteranno anche sorpresi di che tipo di domande si pone l’autrice, perché a volte la vita può sembrare scontata e la conduciamo in maniera scontata. Invece porsi delle domande un po’ destabilizzanti un po’ strane, ci aiuta a comprendere meglio la realtà e ad aprire nuovi scenari.
Le domande poste all’inizio delle quattro parti fanno proprio questo. Ci aprono sempre nuove porte, nuovi scenari e un po’ ci preparano anche allo sviluppo di ogni singolo capitolo perché ogni sezione è dedicata a un aspetto importante della crescita di questi due protagonisti».
Questo romanzo quindi non è solamente indirizzato a lettori adolescenti che amano il fantasy?
«La letteratura per l’infanzia o per l’adolescenza non sempre si esaurisce in una storia infantile o adolescenziale. I grandi scrittori, e Marina Višneveckaja questo è, sanno far passare attraverso il linguaggio apparentemente infantile o fanciullesco delle grandi questioni. Lei si inserisce in una lunghissima ed enorme tradizione della letteratura per l’infanzia che c’è in Russia e che forse in Italia non si conosce molto. L’autrice sa benissimo che la fantasia stimolata dei bambini e dei ragazzi può portare a delle risposte molto importanti. Un adulto che legge questo romanzo fantasy, sicuramente si divertirà perché troverà non solo una storia singolare ma anche una storia molto profonda che si pone tante domande sul perché della vita».
Cosa ti affascinava così tanto della sua scrittura o del suo modo di raccontare?
«Con Di Renzo Editore ho pubblicato già una raccolta, Per tentativi, che è il secondo libro di racconti che ho tradotto di Marina Višneveckaja. Il terzo sta per uscire e si intitolerà Ma c’è il caffè dopo la morte? Questa autrice merita di essere diffusa in Italia, cosa che stiamo facendo per la prima volta, perché ha una grandissima capacità di organizzare tutte le avventure che sono contenute nelle storie con sapienza cinematografica. E in effetti, Marina Višneveckaja ha frequentato la scuola di cinematografia a Mosca ed è laureata in sceneggiatura.
Quando noi leggiamo le sue storie è come se ci vedessimo passare davanti le scene di un film proiettate su uno schermo cinematografico. La sapienza compositiva e l’intelligenza di questa scrittrice mi affascinano moltissimo. È una scrittrice che non è mai scontata e le sue storie sono sempre piene di sorprese per cui i personaggi non sono mai come sembrano. Sembra profilarci dei personaggi, dei protagonisti in un certo modo e invece quando arriviamo alla fine della lettura, ci accorgiamo di essere di fronte a personaggi completamente diversi, sempre ambigui, sempre un po’ controversi con delle parti oscure. Abbiamo di fronte una delle scrittrici contemporanee viventi in assoluto più talentuose e quindi con Di Renzo Editore, abbiamo fatto veramente una grandissima operazione per far conoscere questa scrittrice anche in Italia per la prima volta».