La scomparsa di Piero Angela, qualche mese fa, è stata l’occasione per familiarizzare tutti con il concetto di divulgazione e con il futuro che ci attende in termini di diffusione della cultura, soprattutto scientifica. E se, da un lato, in molti fanno fatica a trovare un erede per questo difficile mestiere, per altri ha rappresentato un momento importante di riflessione sullo stato dell’arte in Italia.
L’opera del divulgatore è una questione delicata, che non sempre richiede una preparazione specifica di base, ma piuttosto una grande capacità comunicativa e narrativa. Capita spesso, infatti, che i grandi nomi della scienza non siano capaci di trasmettere, se non a pochi eletti, le nozioni base per comprendere determinati meccanismi, mentre altri (magari scientificamente meno dotati) abbiano il dono di rendere fruibile a tutti, con facilità e immediatezza, anche i concetti più ostici.
Il maggior difetto di chi non sa fare divulgazione è proprio quello dell’incomunicabilità: non essere in grado, cioè, di mettersi al livello di un’audience di non addetti ai lavori, priva di quelle basi che vengono date per scontate quando ci si rivolge a un pubblico esperto. Si tratta – attenzione – sì di ignoranza, ma di un’ignoranza spesso settoriale, perché il pubblico a cui ci si rivolge possiede quasi certamente nozioni comuni alle quali il divulgatore “navigato” sa appigliarsi. Ecco allora le famose similitudini a cui Piero Angela ci ha abituato negli anni. “È come se…”: quante volte gli abbiamo sentito pronunciare questa frase?
Raccontare la scienza
Ma allora come si fa a comunicare la scienza? Come è possibile raccontarla anche a chi non sembra avere i mezzi per comprenderla? Beh, il segreto del buon divulgatore è senza dubbio una certa dose di umiltà: cercare di spiegare agli altri ciò che lui stesso non sa o non è in grado di capire in termini strettamente tecnici, passando da un linguaggio rigoroso a nuovi codici espressivi per trasportare nel linguaggio comune ciò che agli scienziati è chiaro solo con numeri e formule.
Un altro “trucchetto” è quello di appigliarsi al sapere comune, ciò che il lettore, l’ascoltatore o lo spettatore sanno per certo perché appartenente al corredo base della nostra cultura: rubare esempi e metafore dalla letteratura, dalla storia, dalla cultura popolare per riuscire a raggiungere il maggior numero di persone.
Infine, il divulgatore deve sapersi prendere del tempo per narrare la scienza, partendo dalle domande primordiali, quelle che ciascuno di noi può essersi posto almeno una volta nella vita, e raccontare dal principio ciò che ha innescato le ricerche che hanno portato a questa o a quella scoperta.
Qui l’utilizzo dell’aneddoto ha un potere fortissimo nel dipanare e legare per sempre nella nostra mente anche ciò che ci appare incomprensibile. Basti pensare alla fortuna delle scoperte “casuali”, quelle che partono da situazioni di vita quotidiana che somigliano alle nostre e che fanno sentire più vicini alle grandi menti do ogni epoca.
Il futuro della divulgazione
Oggi la globalizzazione, le tecnologie dell’informazione, internet e i social media sono il regno incontrastato della divulgazione senza controllo. Tutti possono aprire un canale youtube o un profilo instagram e mettersi a spiegare questo o quel concetto. Ma non tutti possono avere la pretesa di essere chiari o di essere compresi.
Fortunatamente, ormai il mestiere di divulgatore è sufficientemente “riconosciuto” da meritarsi scuole di formazione, corsi, master che intendono insegnare ai divulgatori di domani che una notizia non basta trovarla, bisogna anche verificarla e renderla comprensibile a tutti senza sacrificarne l’esattezza.
Nel nostro piccolo, la collana I Dialoghi ci ha insegnato che gli scienziati non sono sempre dei bravi narratori delle loro scoperte, ma qualcuno abbiamo comunque avuto la fortuna di incontrarlo: il simpatico Harry Kroto, che ha investito il suo premio Nobel nella diffusione della conoscenza scientifica tra i giovani e che, a dispetto del suo essere baronetto, voleva essere chiamato per nome; la grandissima Margherita Hack, che ha fatto della divulgazione scientifica uno dei pilastri della sua vita di scienziato; l’instancabile Jane Goodall, alla quale noi tutti dobbiamo tanto in termini di consapevolezza dello stato del nostro pianeta.
Ha detto Umberto Eco che la conoscenza non ha bisogno di definizioni ma di storie. Non per vantarci, ma le storie dei nostri Dialoghi sono belle, appassionanti e piene di speranza per il futuro.