Cambiamento Climatico

Clima, la nuova minaccia viene dal freddo

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Di cambiamento climatico si parla ormai da molto tempo: surriscaldamento, scioglimento dei ghiacci, effetto serra, sono eventi noti, chiari, e – ahimè – familiari.

Da quando la salute del pianeta ha cominciato starci a cuore, però, la ricerca ha approfondito più nel dettaglio alcuni aspetti del cambiamento climatico. Nel caso dello scioglimento dei ghiacci, dopo aver vagliato le conseguenze più immediatamente percepite (aumento del livello del mare, isole che vengono sommerse, sopravvivenza della fauna polare, aumento degli iceberg, ecc.), oggi gli studiosi del clima stanno guardando a un altro preoccupante fenomeno: la fusione del permafrost.

Che cos’è il permafrost?

Il permafrost – letteralmente “gelo permanente” – è uno strato di terreno, tipico dei climi molto freddi, che resta perennemente ghiacciato e che si forma quando il suolo resta a temperature sotto lo 0 per almeno due anni consecutivi.

Si trova soprattutto nell’emisfero settentrionale, in Nord Europa, in Siberia e in Nord America, ma estensioni minori di permafrost sono state individuate anche in Antartide, in Nuova Zelanda e in Sud America.

In totale, esso rappresenta quasi il 25% della terraferma, un’estensione non proprio trascurabile. Esiste anche un permafrost “sottomarino”, formatosi nel corso dell’era glaciale, sui fondali dell’Oceano Artico.

Scioglimento, un fenomeno naturale

È proprio la fusione del permafrost sottomarino nell’Artico a destare le maggiori preoccupazioni. Infatti, a causa di un fenomeno naturale iniziato alla fine dell’era glaciale, il permafrost sottomarino si sta sciogliendo, come documentato da un team di ricercatori canadesi, che sta monitorando il mare di Beaufort, oggi accessibile per via del riscaldamento globale che ha causato il ritiro dei ghiacci.

Misurando la profondità dei fondali con sonar e altri veicoli, il gruppo di scienziati ha rilevato enormi voragini (i cosiddetti “sinkhole”), mentre in altri punti il fondale è divenuto molle e punteggiato di collinette ghiacciate, che si sono sollevate proprio in seguito allo scioglimento.

Foto di kevinthompson360 da Pixabay

Questi sinkhole sono un fenomeno geologico molto noto, che abbiamo imparato ad associare a fenomeni meteorologici estremi (ad esempio pioggia torrenziale) o a problematiche strutturali (come avvenuto lungo l’Arno di Firenze, dopo la rottura di una grossa tubatura), ma la sua presenza sui fondali è più difficile da rilevare e dunque potenzialmente più pericolosa.

In Siberia, ad esempio, un affossamento di questo tipo ha fatto crollare una cisterna di gasolio, causando un disastro ecologico. I piloni che la sostenevano erano infatti stati impiantiti nel permafrost che, sciogliendosi, non è stato più in grado di reggerne il peso.

Il circolo vizioso dei gas serra

Anche se i cambiamenti climatici portati dall’azione dell’uomo sul pianeta non hanno alcuna responsabilità con lo scioglimento del permafrost, questo fenomeno potrebbe avere conseguenze molto gravi, tra le quali un aumento dei gas serra.

Infatti, il permafrost dei fondali sottomarini contiene qualcosa come 60 miliardi tonnellate di metano e oltre 550 miliardi di tonnellate di CO2, più di quanto l’uomo abbia rilasciato nell’atmosfera dall’avvento dell’era industriale.

Il rilascio di questi gas nella nostra atmosfera può dunque aggravare irrimediabilmente l’effetto serra già così preoccupante. Fortunatamente, un altro dato certo è che i gas liberati dal permafrost dell’Artico sono in quantità minima, assai minore rispetto a quelli emessi dall’uomo con le sue attività.

Se si considerano anche i rischi derivanti dallo scioglimento del permafrost emerso, che contiene virus e batteri “antichi” che potrebbero liberarsi e diffondersi, una riflessione è d’obbligo: la presenza dell’uomo sta accelerando un processo che sarebbe stato inevitabile o, come avviene spesso, la portata del fenomeno naturale potrebbe essa sola essere “ammortizzata” dalle dinamiche geologiche del nostro pianeta?

In attesa di comprendere cosa ci attende, gli sforzi per limitare le emissioni e salvaguardare le risorse dovranno continuare, prima che l’ambiente decida di liberarsi definitivamente di noi.

Foto di 8moments da Pixabay