Semir Zeki e John Romaya nel 2008 pubblicarono sulla rivista Plos ONE, uno studio sulle correlazioni neurali e l’odio. Lo studio rivelò che quando si odia, viene attivato un circuito nel cervello diverso dagli altri sentimenti come paura o rabbia.
Lo studio ha preso in considerazione diciassette persone a cui venivano mostrate delle foto di personaggi che odiavano mentre venivano sottoposti a risonanza magnetica. Le foto di volti odiati venivano intervallate da foto di persone anonime per confrontare i risultati.
Lo studio ha mostrato che esiste un modello unico di attività nel cervello nel contesto dell’odio.
Durante la fase dell’odio, i cervelli dei partecipanti hanno stimolato le aree della corteccia e sub-corteccia associate al comportamento aggressivo e all’azione. Inoltre, una parte della corteccia frontale relativa alla previsione dei movimenti degli altri è stata messa in funzione.
Sono stati attivati anche il putamen e l’insula, due aree legate al sentimento dell’amore; tuttavia, le aree relative al giudizio e al ragionamento si sono disattivate proprio come nel caso dell’amore. Chi odia è attento all’atteggiamento della persona che ha davanti.
Nell’odio come nell’amore si entra in un rapporto molto intenso con l’altra persona. Questa similitudine potrebbe spiegare perché in alcune coppie l’amore si trasforma rapidamente in odio.
A differenza della rabbia, sentimento che si mette in moto per la sopravvivenza, l’odio non ha uno scopo biologico ed è un’emozione culturalmente costruita.
L’ odio è un sentimento che si è sviluppato a partire da insiemi più basilari di sensazioni corporee ed emotive che sono comuni negli esseri umani e in altri primati, come la fame e la paura.
L’odio è molto probabilmente un derivato umano di comportamenti negativi di base, come il rifiuto o l’elusione, che si verificano in tutti gli animali. Noi e altri primati possiamo gettare via gli oggetti, urlare o evitare un altro individuo se lo detestiamo.
Il meccanismo è lo stesso, ma la differenza sta nella consapevolezza di quella avversione, sconosciuta al primate. Questo ha anche la sua spiegazione nel cervello.