E dall’oasi spuntò il gene del cervello

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“A caccia di geni”, di Edoardo Boncinelli, è un bellissimo libretto, appena comparso in una nuova colla di biografie scientifiche della Di Renzo Editore. Boncinelli vi racconta brevemente la sua vita, accanto alla sua attività di ricercatore, ed è rinfrescante leggere la storia di un uomo che sembra aver conservato malgrado il successo scientifico che qualche volta porta, come tutti i successi, a sentirsi troppo importanti, abbastanza senso dell’umorismo da non prendersi troppo sul serio, pur conservando un enorme entusiasmo per il proprio lavoro.

È raro trovare tante informazioni, ed esposte con tanta chiarezza, in così poche pagine. Vi si trova la storia personale (naturalmente piuttosto sintetica) e quella professionale di un uomo appena sopra i cinquanta; la spiegazione di una parte affascinante dell’embriologia, in cui sono avvenute le ultime scoperte della genetica; il racconto dei nuovi contributi, tutt’altro che modesti, portati a queste ricerche dal Boncinelli stesso e dai suoi collaboratori; considerazioni generali sullo stato della biologia in Italia, consigli ai giovani e altre cose ancora. L’autore ha una straordinaria capacità di concentrare, semplificare ed esporre in modo gradevole. Ci dice che

«una scoperta scientifica che non possa essere raccontata in modo comprensibile non è una scoperta scientifica».

Fare una bella scoperta e saperla raccontare sono due abilità distinte. È difficile che una persona le possieda entrambe, come qui. Noi ad esempio, lavoriamo in due per ottenere questo risultato. Per uno di noi (Luca, padre), capire la parte scientifica del libretto non è un problema, perché fa parte del suo mestiere di genetista.

È più difficile per Luca valutare esattamente quanto il libretto sia comprensibile al grande pubblico, e su questo punto il giudizio dell’altro (Francesco, figlio), uomo di cinema e televisione, laureato in filosofia, ha molto più valore. Per trasmettere in modo semplice informazioni su argomenti complessi abbiamo unito le nostre forze in più occasioni, ci sembra con buon successo: un libro sull’evoluzione umana è già stato pubblicato in italiano e in molte altre lingue, e ridotto ad uso delle scuole secondarie. È un’esperienza che ci incoraggia a proseguire la collaborazione anche a livello giornalistico.

La ricerca di Boncinelli è stata dedicata, dopo inizi ragionevolmente fortunati anche l’autore non dà loro molto peso, a certi geni scoperti nella drosofila, il famoso moscerino del mosto che ha avuto così grande importanza per lo sviluppo della genetica. Si tratta di geni, la cui esistenza era nota da tempo, che determinano la struttura del corpo della drosofila: in particolare, ognuno di essi decide quella del torace, dell’addome e così via.

Cambiamenti minimi (detti «mutazioni») che avvengono spontaneamente in questi geni possono determinare vistose variazioni della forma del moscerino. Una di queste, ad esempio, produce lo sdoppiamento del torace, da cui partono le ali della drosofila. Con due toraci anziché uno, disposti in fila fra la testa a l’addome, la drosofila non ha più due ali ma ne ha quattro. Questo è un cambiamento eccezionale sul piano zoologico, perché gli insetti con due ali sono Ditteri, cioè, con nome comune, mosche, e quelli con quattro sono Lepidotteri (farfalle).

Naturalmente vi sono molte altre differenze, oltre a questa, fra mosche e farfalle, ma il numero delle ali è tra le più importanti. Altre mutazioni trasformano antenne in zampe, producendo «mostri» di diversa natura. Solo di recente è stato possibile analizzare la natura chimica di questi geni, grazie alle nuove tecniche di studio del Dna, la sostanza di cui i geni sono fatti e in cui è racchiuso il nostro patrimonio ereditario.

Boncinelli ha iniziato a studiarli nella drosofila, un organismo che si presenta a perfezione alle ricerche sui caratteri ereditari, perché è facile da allevare in laboratorio e da osservare in dettaglio al microscopio e si riproduce ogni due settimane. In seguito però ha avuto l’idea di cercare gli stessi geni nell’uomo e ha scoperto che anche nelle nostre cellule ve ne sono di molto simili, altrettanto fondamentali nel determinare la struttura del corpo. Come tutti i geni veramente importanti nell’economia di un organismo, anche questi sono cambiati assai poco nel corso dell’evoluzione, per cui c’è poca differenza fra i geni che controllano lo sviluppo del corpo nell’uomo e nel moscerino.

Questa elevata somiglianza ha permesso di isolarli molto più facilmente e quindi studiarne la struttura chimica anche nell’uomo. Può sembrare del tutto incredibile che geni molto simili diano risultati così diversi nei due organismi: almeno superficialmente, che somiglianze vi sono fra noi e l’umile drosofila?

Ma c’è una buona ragione perché ciò accada: questi geni sono dei supercontrollori dell’attività di molti altri geni, i quali si occupano dei dettagli, ad esempio di fabbricare un’ala o una zampa. Sono di livello gerarchicamente superiore: decidono in che ordine distribuire le varie regioni del corpo. Altri geni, sottoposti al loro comando, provvedono a fornire una certa regione di una zampa, di un braccio, di un’ala, a seconda del caso.

All’interno dei cromosomi, questi supercontrollori sono disposti in un ordine preciso, che corrisponde all’allineamento dei vari segmenti del corpo. La segmentazione caratteristica di un minuscolo insetto quale la drosofila, si è mantenuta ed estesa negli organismi superiori, come balza all’occhio osservando la colonna vertebrale.

La materia nervosa in essa contenuta, il midollo spinale, è in diretta continuità con il cervello, così come il cranio osseo è la diretta prosecuzione della colonna vertebrale. Anche le ossa del cranio e il cervello sono segmentati, benché in forma meno immediatamente visibile perché si sono profondamente trasformati nel corso dell’evoluzione.

Il Dna che controlla lo sviluppo di queste parti del nostro corpo mostra una analoga segmentazione, parallela a quella che si osserva su tutto l’asse nervoso, dalla parte frontale del cervello alla fine del midollo spinale: i geni sono allineati, benché con interruzioni, in sequenze simili a quelle dei segmenti di corpo che controllano.

La parola scientifica che descrive questo parallelismo è molto espressiva: colinearità. Anch’essa è spiegata in un glossarietto che si trova al termine del volume, e che è compreso, insieme a disegni esplicativi, in poche pagine. Accanto alla colinearità spaziale, è stata poi scoperta una colinearità temporale: nel corso dello sviluppo dell’embrione questi geni si attivano in sequenza, l’uno dopo l’altro, in un ordine che corrisponde al loro allineamento nello spazio e quindi anche all’allineamento dei segmenti corporei di cui dirigono la costruzione.

La ricerca su questi supercontrollori, scoperti sfruttando abilmente le somiglianze evolutive che esistono fra tutti gli organismi viventi, non aveva però individuato geni che controllassero lo sviluppo del cervello. Boncinelli è tornato alla drosofila, a cercarvi possibili mutazioni che influissero sullo sviluppo del sistema nervoso di questo moscerino.

Ha acquisito le conoscenze che gli interessavano e le ha ancora una volta applicate allo studio del patrimonio genetico umano. Di nuovo ha trovato quel che cercava, e ha scoperto quattro nuovi geni, due dei quali sono direttamente responsabili dello sviluppo del cervello. Uno di essi è coinvolto nel determinare la struttura della corteccia cerebrale, la cosiddetta «materia grigia», sede del pensiero. Osservazioni cliniche hanno confermato l’importanza di questo gene, che in caso di mutazioni provoca gravi anomalie del cervello.

Più di trent’anni fa l’autorevole rivista americana Science aveva descritto la situazione della ricerca biologica in Italia come un deserto con alcune belle oasi. La situazione è migliorata da allora, ma non si è certo capovolta. Vi sono più oasi; e alcune sono anche più belle di prima. Dopo i suoi inizi al Ligb di Napoli, fondato da Adriano Buzzati-Traverso, Boncinelli oggi lavora in un’altra di queste, di recente origine e molto promettente: il Dibit del San Raffaele di Milano, fondato da don Luigi Verzè. Le ultime due pagine del suo libretto sono dedicate a consigli per i giovani (tutti giustissimi) e ad una descrizione lapidaria della situazione italiana. Il quadro è pessimistico. Purtroppo, è difficile contraddirlo.

la Repubblica, 27 settembre 1996, pag. 42, Cultura
Luca e Francesco Cavalli-Sforza