Scandalosa, adorabile Giulia

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In un libro e nella casa ricostruita storia, cultura, anticonformismo di Giulia maggiore la figlia di Augusto.

Fortunato e vincente nella vita pubblica, Cesare Ottaviano Augusto lo fu molto meno nella vita privata. Gli andò bene col matrimonio, almeno dopo aver sposato Livia Drusilla che gli restò accanto fino alla sua morte; ma non con la figlia.

L’amata Giulia, unica rampolla nata dall’unione con la seconda moglie Scribonia, fu accusata di comportamento immorale e relegata in esilio, mentre i nipoti Marcello, Caio e Lucio, nominati suoi successori, lo precedettero in giovane età nel grandioso Mausoleo di Campo Marzio.

Le scarne notizie che gli storici ci hanno tramandato su Giulia la descrivono come un concentrato di vizi e la ritrattistica, così generosa nel restituirci le fisionomie della Casa Giulio-Claudia, di questa donna ci ha lasciato niente. Così, ancora oggi, non sappiamo chi fosse realmente, né cosa avesse fatto di così terribile da suscitare l’ire degli dei prima di quella del padre.

Un libro “La pedina di vetro” si propone a ricostruirne la storia, interpretando azioni e pensieri della protagonista. L’autrice, Antonella Tavassi La greca, riesce a riempire tutti i vuoti della documentazione antica attraverso una doppia indagine: letteraria e personale.

La prima muove da un’analisi testuale delle fonti principali, Tacito, Svetonio, Cassio Dione; la seconda nasce da un’attrazione particolare per la “scandalosa” Giulia. Il risultato è una biografia dalla scrittura elegante, che si legge d’un fiato (e cui si perdona qualche svista archeologica), dove l’oggetto della ricerca finisce col diventare il prototipo di una femminilità anticonvenzionale all’interno di una società in trasformazione.

Giulia viene identificata in una pedina di vetro trasparente, in quel gioco dei “Ladruncoli” (una specie di scacchi) dove lo stesso Augusto si cimentava con passione: come definire altrimenti la sua posizione sempre soggetta a spostamenti a favorire le strategie politiche paterne?

E come non pensare alla sfida tra due antagonisti, della stessa levatura, dove a uno soltanto è permesso di ribaltare il risultato? Bella, colta, di gusti raffinati, Giulia probabilmente non si adattò mai alla convivenza con la matrigna Livia e fu felice quando riuscì a sottrarsi col matrimonio alla sua ingombrante e virtuosa tutela.

Basta osservare le decorazioni degli ambienti della villa sul Tevere, condivisi forse col secondo marito, per intuire il tipo di banchetti e di intimità che vi si potevano svolgere. L’insolito triclinio a fondo nero e le camere da letto impreziosite di stucchi e pitture (ricostruiti nel Museo di Palazzo Massimo) appaiono la cornice ideale per una donna piena di voglia di vivere, per educazione e sensibilità pronta a recepire le avanguardie culturali.

In un clima di congiure e malcontenti, dietro la facciata del principato giusto e felice, maturò contro Giulia l’accusa di condotta immorale (ebbe due amanti sicuri e il secondo era figlio di Marco Antonio, l’avversario di Augusto): in base alla “lex Julia de adulteriis” la donna subì un umiliante processo e fu condannata all’esilio perpetuo, prima a Pandataria (Ventotene), poi a Rhegium (Reggio Calabria).

Non le fu consentito neanche di assistere ai funerali dei figli e del padre. Una sorte terribile, che non aveva tenuto conto del suo breve matrimonio con Marcello, figlio della sorella di Augusto e morto giovanissimo; né dell’unione con Agrippa, l’ammiraglio di Azio, stimato collaboratore del principe, con il quale aveva avuto Caio e Lucio, adottati per la successione e periti nel fiore degli anni in circostanze sospette.

Meno di tutte le giovò l’imposizione del matrimonio con Tiberio, figlio della matrigna, sempre lontano con le sue legioni, che con il suo disinteresse spalancò le porte già aperte dell’adulterio. E tuttavia la punizione di Giulia apparve eccessiva anche ai contemporanei, se il popolo in più scese per strada a reclamarne il ritorno.

“La pedina di vetro” ricostruisce il passato di Giulia, le sue provocazioni, i suoi amori e individua in Livia l’ispiratrice di ogni sua disgrazia. Chi ha influenzato ogni mossa sulla scacchiera è stata proprio lei, la first lady di Roma, pronta a tutto pur di vedere l’impero nelle mani del figlio Tiberio.

Quando poi Giulia sente prossima la fine (14 d.C.), le descrizioni di trame inquietanti e i colpi di scena hanno l’incalzare di un thriller. Non tutto è documentabile; ma l’autrice riesce a modellare il ritratto di un personaggio storico, con le debolezze e la forza di una femminilità senza tempo.

L’Espresso, n.3 del 21 gennaio 1999 – di Marisa Ranieri Panetta