Forse non tutti sanno che il Giorno della Memoria è stato istituito in Italia ben prima della risoluzione ONU del 2005: la legge 20 luglio 2000, n. 211 lo ha infatti riconosciuto formalmente, “in ricordo dello sterminio e delle persecuzioni del popolo ebraico e dei deportati militari e politici italiani nei campi nazisti”.
Facendo da apripista, il Governo italiano si interrogò a lungo sulla data da celebrare, perché tale scelta avrebbe comportato una maggiore enfasi su un determinato aspetto di questa triste pagina della nostra storia. Alcuni avrebbero voluto il 16 ottobre, per ricordare quel giorno del 1943 in cui i tedeschi rastrellarono il Ghetto di Roma: non bisognava infatti dimenticare le leggi razziali e le responsabilità del regime fascista. Alla fine anche noi abbiamo scelto il 27 gennaio, perché ormai Auschwitz era divenuto il simbolo universale della tragedia dell’Olocausto.
Anche quest’anno le iniziative sono molte: la visita al binario 21 della Stazione Centrale di Milano, da dove partivano i treni per i lager; la cerimonia cittadina al teatro La Fenice di Venezia; e poi spettacoli teatrali, incontri letterari, mostre, concerti e iniziative dedicate soprattutto agli studenti delle scuole italiane.
Il senso del giorno della memoria
E come tutti gli anni, anche nel 2022 ci si continua a interrogare sul senso del giorno della memoria, sulla funzione del ricordo e della testimonianza come “profilassi” contro la violenza, la ferocia e la crudeltà di cui a volte sa macchiarsi il genere umano.
Continuare a ricordare la Shoa, si è scritto, non ha impedito il ripetersi di genocidi, di pulizie etniche o epurazioni razziali, ma rassegnarsi a pensare che è possibile cambiare e far finta che nulla sia accaduto sarebbe ancora più tremendo, e assai più inutile.
Uno dei modi migliori per ricordare e riflettere è rileggere le parole di Primo Levi, non solo nei suoi splendidi romanzi (Se questo è un uomo al primo posto), ma anche nelle numerose interviste che rilasciò in quel ruolo di testimone che si era assunto volontariamente e dolorosamente.
In Le parole di un uomo, la giornalista RAI Milvia Spadi ha trascritto l’intervista a Primo Levi realizzata per la radio tedesca in occasione dell’uscita in Germania de I sommersi e i salvati.
Proprio in questo volume, Primo Levi si chiedeva se i reduci, come lui, erano stati effettivamente capaci “di comprendere e far comprendere” la terribile esperienza che si erano trovati a vivere. È questo lo scopo di questo libro – come di tutto ciò che racconta Auschwitz, i lager, la deportazione, la morte – così com’era questo il grande incubo di Primo Levi. Quel sogno ricorrente, angosciante, persecutorio, di tornare a casa e non riuscire a raccontare l’orrore dei campi di concentramento; tentare con fatica e sofferenza e accorgersi che amici e famigliari “non capiscono nulla di quello che loro si dice”.
Meccanismi di Odio e speranza per il futuro
In Le parole di un uomo, Milvia Spadi va oltre l’intervista, recupera “altre” parole, diverse e discordanti: di persecutori, di dissidenti, di ebrei fascisti, di figli che pagano le colpe dei padri e di studenti che negano una verità terribile.
Riflette sulle responsabilità dei singoli, sul ruolo della Chiesa, sulle leggi razziali, sul significato della memoria.
Ma soprattutto slega i meccanismi di odio e di violenza dall’evento in sé per ricordare nuove discriminazioni e intolleranza e provare a capire come si può superare la paura del “diverso”. E non è forse un caso che la legge italiana che ha istituito il Giorno della Memoria è stata successivamente integrata per ricordare altri perseguitati dai regimi fascisti: i Rom, i Sinti, i disabili, gli omosessuali, i testimoni di Geova.
Vale infine la pena menzionare un’altra curiosità sulla giornata della memoria: la legge italiana l’ha intesa non solo per ricordare le vittime, ma anche – come recita l’articolo 1, – “coloro che, anche in campi e schieramenti diversi, si sono opposti al progetto di sterminio, ed a rischio della propria vita hanno salvato altre vite e protetto i perseguitati”.
Dalla memoria, dunque, anche un messaggio di speranza per il futuro.