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11 settembre 2001 e il mondo che viene dopo

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Il problema del dopoguerra è con il vincitore. Pretende di aver dimostrato che la guerra e la violenza pagano. Chi gli insegnerà ora la nuova lezione? A pronunciare queste parole fu il pacifista radicale A.J. Muste quando l’America entrò nella seconda guerra mondiale.

Dopo gli eventi dell’11 settembre, Noam Chomsky nel dicembre del 2001 presentò una relazione alla American Friends’ Service Committee Conference, Tuft University, Medford riportando queste parole.

Per Chomsky troppe persone in tutto il mondo hanno dovuto imparare l’amaro significato delle parole citate da Muste.

Nei racconti, nelle fiabe per bambini e nelle testate giornalistiche ad indirizzo intellettuale l’uso della forza viene utilizzata in modo giusto per distruggere il male, ma il mondo reale impartisce lezioni molto diverse dalla fantasia e solamente l’ignoranza voluta ci impedisce di percepirle.

Charls Tilly, sociologo, politologo e storico statunitense durante le sue innumerevoli ricerche sulla storia della formazione dello stato europeo, ha osservato, in modo piuttosto accurato, che nel corso dell’ultimo millennio, “la guerra è stata l’attività prevalente degli Stati europei” per una sfortunata ragione: “Il tragico fatto centrale è semplice: la coercizione funziona; coloro che usano la forza bruta nei confronti dei loro simili ottengono sottomissione, e dalla sottomissione i molteplici vantaggi di denaro, merci, deferenza, accesso a piaceri negati ai meno potenti.”

Il tipico fattore che si accompagna alle facili vittorie su nemici indifesi è l’ostinazione e l’abitudine a preferire la forza alla ricerca di mezzi pacifici. Un altro è la grande priorità di agire senza sottoporsi ad alcuna autorità.

L’incarnazione del Dio che viene sulla terra come “l’uomo perfetto” con la missione di sradicare il male dal mondo non necessità di un’autorità più elevata.

Ciò che è vero per la maggior parte degli antichi racconti epici indiani da migliaia di anni vale anche per gli odierni plagiari. La preferenza della forza e il rifiuto dell’autorità sono state importanti caratteristiche dell’ultima decade di superpotenze incontrastate che annientano avversari assai più deboli, secondo le necessità della politica.

Durante la prima amministrazione, Bush mise mano alla politica per la sicurezza nazionale che si occupava delle minacce dal Terzo Mondo. Parte di questa revisione trapelò durante la guerra del Golfo e concluse che “nei casi in cui gli Stati Uniti affrontano nemici più deboli” – ovvero, gli unici che sceglie di combattere – “la nostra sfida non sarà semplicemente quella di sconfiggerli, ma di sconfiggerli in modo decisivo e rapido.”

Qualsiasi altro risultato sarebbe stato “imbarazzante” e poteva scoraggiare i sostenitori politici che erano già scarsi. Con il collasso, pochi mesi dopo, dell’unico deterrente, le conclusioni furono determinate ancora più fermamente, senza sorprese.

Queste, per Chomsky sono le considerazioni che si dovrebbero tenere a mente quando osserviamo il mondo dopo l’11 settembre.

Il nuovo millennio ha rapidamente prodotto due nuovi e terribili crimini, che si sono andati ad aggiungere al triste elenco di quelli che ancora persistono. Il primo è stato l’attacco terroristico dell’11 settembre; il secondo, la risposta a quell’attacco, che sicuramente sta chiedendo un tributo ben più grande di vite innocenti, i civili afgani, a loro volta vittime dei sospetti responsabili del crimine dell’11 settembre.

Presupporrò che questi siano Osama bin Laden e la sua rete di al-Qaeda. Sin dall’inizio c’è stato un caso “prima facie”, benché siano state prodotte ben poche prove, e i successi in patria siano stati scarsi, a dispetto di quelle che possono essere state le indagini più intense mai coordinate dai servizi segreti delle grandi potenze.

Queste reti di “resistenza senza leader”, così come vengono chiamate, non sono ossi duri.

È un segno infausto che in entrambi i casi i crimini vengano considerati giusti, persino nobili, all’interno della cornice dottrinale di chi li ha commessi, ed infatti vengono giustificati quasi con le stesse parole.

Bin Laden proclama che la violenza è giustificata nell’autodifesa contro gli infedeli che invadono e occupano le terre musulmane, e contro i governi brutali e corrotti che questi impongono –  parole che hanno notevole risonanza nella regione, anche tra coloro che lo disprezzano e lo temono.

Bush e Blair proclamano, con parole quasi identiche, che la violenza è giustificata se serve a scacciare il male dalle nostre terre.

Le affermazioni dei due antagonisti non sono del tutto identiche. Quando bin Laden parla delle “nostre terre”, si riferisce ai territori musulmani: l’Arabia Saudita, l’Egitto, la Cecenia, la Bosnia, il Kashmir e altri; gli islamismi radicali che furono mobilizzati e istruiti da CIA e compagni negli anni Ottanta disprezzano la Russia, ma hanno cessato le loro operazioni terroristiche contro di essa dalle basi afgane proprio quando i Russi si sono ritirati dall’Afghanistan.

Quando Bush e Blair parlano delle “nostre terre” si riferiscono, al contrario, a tutto il mondo.

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