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Villeggiatura o prigionia, i due volti contrastanti di Ventotene

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Quella che stiamo vivendo è l’estate del turismo di “prossimità”, un termine appariscente per indicare che le vacanze le passeremo principalmente a due passi da casa. È senz’altro l’estate in cui tutti stanno riscoprendo la bellezza della nostra penisola, non solo quella delle mete più note, ma anche quella dei luoghi sconosciuti, dei piccoli borghi, delle tradizioni antiche.

Tra queste, si può certamente annoverare Ventotene, sorella minore dell’assai più nota Ponza, ma altrettanto affascinante, e soprattutto ricca di paesaggi e di storia.

Ventotene, infatti, era già nota agli antichi Romani, che la chiamavano Pandataria: fu qui che venne esiliata Giulia, figlia reietta dell’Imperatore Augusto, nella grande villa che si era fatto costruire per tutt’altri scopi. L’isola si rivelò, evidentemente, una soluzione ideale, perché le gens Julia e Claudia la utilizzarono più volte per liberarsi di donne non più gradite, politicamente ed umanamente.

Dopo Giulia, finirono a Ventotene anche sua figlia Agrippina maggiore (per mano del suocero-patrigno Tiberio) e Ottavia, che il marito Nerone ripudiò per sposare Poppea.

All’epoca Ventotene era inospitale, brulla, battuta dai venti, una vera e propria prigione. E così rimase a lungo, anche quando, nella seconda metà del Settecento, cominciò ad essere abitata. La sua fama di luogo di esilio rimase però inalterata, e fu qui che vennero mandati molti oppositori del fascismo, tra cui l’amatissimo Sandro Pertini.

Oggi Ventotene conserva i resti della meravigliosa villa augustea, che porta il nome della sua prima illustre ospite, una prigione dorata sulla punta nord dell’isola, da cui Giulia – nei cinque lunghi anni d’esilio – scrutava tutti i giorni  l’orizzonte verso la terraferma immaginando di scorgere la sua Roma. I cortili, le cisterne, le terme sono ancora ben visibili e visitabili.

Ogni anno, nella stagione estiva, Ventotene celebra le sue riluttanti ospiti, rievocando non solo il passato imperiale dell’isola, ma anche le sofferenze umane di queste “pedine di vetro”, che gli uomini di potere hanno spostato a proprio piacimento sulla scacchiera delle politica della Roma Antica.

Foto di Melk Hagelslag da Pixabay