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I libri non servono più? Allarmano i dati sugli studenti universitari

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Ha suscito clamore, scatenando il dibattito anche sulle principali testate italiane, l’esito di una ricerca tra gli studenti universitari sull’uso dei libri nei corsi di studio per il conseguimento della laurea.

L’indagine l’ha commissionata l’AIE, l’Associazione Italiana Editori: vi hanno partecipato 1.000 iscritti a un corso di laurea triennale, o al primo triennio di laurea magistrale o a ciclo unico in tutta Italia, ivi comprese le università telematiche.

I soggetti sono in gran parte donne, età media tra i 19 e i 24 anni, diversificati per area geografica e disciplinare, e i dati che li riguardano sono piuttosto allarmanti se si considera che si tratta della generazione che sarà protagonista di un futuro molto prossimo.

Un quadro allarmante

Il quadro che emerge dall’indagine è quello di studenti che leggono poco (anche se preferibilmente libri cartacei), un aspetto questo già di per sé preoccupante considerato che, secondo altre statistiche, si tratta comunque della stragrande maggioranza dei lettori italiani.

Tuttavia, il dato più eclatante è il ricorso esiguo (se non addirittura nullo) ai libri di testo previsti dai corsi di laurea a favore di altre tipologie di materiali, evidentemente più facilmente “fruibili”.

Pur con le dovute differenze, gli studenti delle università di oggi preferiscono studiare su appunti, dispense (magari fornite dagli stessi professori) e, ahimè, anche su riassunti scaricati da internet, la cui provenienza e affidabilità non sempre può essere accertata.

Insomma, “ottimizzano” gli sforzi, facendo a meno di libri (stampati o in digitale) e accontentandosi di materiali autoprodotti, incluse registrazioni e sbobinature delle lezioni, vecchie prove d’esame con le correzioni, quiz di varia natura.

Tutta una serie di materiali non strutturati che forniscono, nell’immediato, nozioni da sfruttare in sede d’esame senza lasciare però, nel lungo termine, quelle capacità di comprensione, riflessione e sintesi di concetti e idee che solo il costante e continuo esercizio della lettura di testi completi e organizzati può garantire. Per non parlare della padronanza linguistica e grammaticale, non esattamente il punto forte di riassunti e dispense.

Il dibattito

Qualcuno ha parlato di “sapere fragile”; qualcun altro, ad esempio Il Foglio, ha accusato lo stesso sistema universitario, colpevole di aver premiato nel passato modalità di studio che consistono “nell’acquisizione di contenuti standard anziché nello sviluppo costante di una sensibilità individuale”.

La causa di questo preoccupante effetto sarebbe quindi l’incapacità del mondo dell’istruzione di distinguere chi studia davvero da chi lo fa per finta, di fatto insegnando a non studiare.

Si tratta naturalmente di una provocazione, ma il dato si aggiunge a quelli di studi precedenti, come l’indagine che qualche tempo fa ha rilevato la scrittura povera e desolata che imperversa sui social, riflesso di una capacità linguistica altrettanto carente, o quella sull’incapacità diffusa tra gli adolescenti nel comprendere testi scritti che siano più articolati di un post.

E se è vero che le statistiche, svolte su un dato campione, possono essere soggette a interpretazione, il panorama che si prospetta non è dei più rosei.

Con l’Intelligenza Artificiale che incalza, soprattutto nel campo della scrittura e della creatività, e il mondo social in continua evoluzione, ci si potrebbe chiedere a cosa serva la collana Tessere che la Treccani ha dedicato ai “saperi minimi”, quei concetti acquisiti a scuola (le tabelline, la grammatica, la fotosintesi) che, seppur divenuti più incerti con il passare del tempo, dovrebbero far parte del nostro bagaglio di conoscenze. I primi volumi pubblicati riguardano, guarda un po’, la grammatica e la storia.

Non per parlar fiorito o snocciolare date, ma piuttosto “per recuperare i fili essenziali del tessuto della conoscenza”: un “ripasso creativo” per recuperare conoscenze dormienti, tasselli fondamentali per la nostra costruzione in quanto esseri liberi e pensanti.