Nel 1580, a 32 anni, Giordano Bruno insegnava filosofia all’Università di Tolosa. Un incarico più che soddisfacente, se si considerano le traversie che avevano segnato la sua vita.
Figlio di un militare, era nato nel 1548 in un borgo sperduto della Campania (Nola), si era fatto frate domenicano ed era stato poi accusato di eresia e di omicidio.
A pochi anni dalla consacrazione sacerdotale, quindi, abbandonò la tonaca per fuggire dall’Italia. Si recò in Svizzera, ma venne cacciato anche dall’Università di Ginevra perché le sue idee in materia di religione non erano accettate neppure da parte dei protestanti.
La nuova condizione sociale dunque meritava senz’altro di essere conservata e difesa da chiunque si fosse trovato nella condizione di essere povero, perseguitato dalla Chiesa e ciononostante fosse riuscito a conquistare una posizione di prestigio nella società del tempo.
Ma dentro quel corpo minuto si celava l’animo di un Titano. Non era la filosofia aristotelica che voleva insegnare, e meno che meno la mnemotecnica, bensì la filosofia nolana, la filosofia del risveglio e per questo era necessario recarsi a Parigi, nel cuore del potere politico e culturale dell’Europa, dove avrebbe potuto trovare i mezzi per fondare la sua Accademia che doveva rivaleggiare con quella di Aristotele.
La sua apparizione a Parigi però doveva essere un evento di cui tutti avrebbero parlato perché solo così, trasportato dall’onda del successo, avrebbe avuto la possibilità di ottenere un colloquio con Enrico IV e chiedergli l’elargizione dei mezzi per realizzare il suo sogno.
Il clamore doveva essere suscitato dall’apparizione contemporanea di quattro libri che recavano impresso il suo nome come autore e soprattutto perché ammiccavano alla sicura attrazione per l’occulto che ogni pubblico prova.
Videro così la luce una commedia in italiano (Il Candelaio) e tre libri in latino, Le Ombre delle Idee, L’Incantesimo di Circe e Il Compendio dell’Architettura di Lullo.
Venivano colpiti in tal modo tutti i segmenti di mercato, come si direbbe oggi con il linguaggio del marketing. Dal lettore di libri di evasione, come poteva essere il testo di una commedia (Cervantes e il romanzo moderno sarebbero venuti dopo circa un secolo), all’appassionato di occultismo e di magia per arrivare infine ai pochi cultori di saggistica che conoscevano almeno di nome Raimondo Lullo e desideravano saperne di più.
Le quattro opere mostrano nella loro struttura e nel loro obiettivo pedagogico una profonda unità di ispirazione.
Il Candelaio è colui che fabbrica e cura la distribuzione delle candele, la cui luce sostituisce la luce del sole laddove questa sia assente, per esempio nel corso della notte, o dentro una caverna.
In quest’opera Bruno rappresenta con amaro sarcasmo la condizione di sonno in cui si trovano immersi i personaggi che perseguono un disegno esistenziale del tutto incongruente con la realtà dell’ambiente. E il primo personaggio che soffre di questa forma di ignoranza è proprio quello che dà il nome alla commedia, a mostrare come si possa apprendere anche dagli esempi portati in negativo, perché sono quelli che evidenziano la necessità improrogabile del cambiamento e della trasformazione.
Fino dal titolo, il richiamo de Le Ombre delle Idee alla caverna platonica è inevitabile e il senso traslato della luce come luce dell’intelletto segue spontaneamente. È proprio in un quadro neoplatonico e neopitagorico che Bruno conduce la sua analisi del significato metaforico del rapporto tra la luce dell’intelligenza e la realtà materiale, con l’analogia tra il vedere con gli occhi della mente e quelli del corpo.
Quelle che paiono riflessioni sulle leggi della prospettiva diventano considerazioni sulla natura del pensiero e sul metodo corretto di percepire il pensato.
Seguono poi le pagine dedicate a esplorare la natura strumentale dell’agire umano e a evidenziare tutta l’importanza dello strumento di cui l’uomo si avvale, sia esso un mezzo materiale o immateriale come un metodo.
Nessuna impresa è negata all’uomo che si dota dello strumento opportuno e necessario. Ne deriva che, come con l’arte della memoria è possibile fissare durevolmente le informazioni per disporne quando occorra, così con l’arte di pensare si può potenziare l’intelligenza dell’individuo fino a trasformarla in intelletto.
Il Compendio dell’Architettura di Lullo riporta la logica lulliana di cui Bruno si avvale nella cornice dell’Intelligenza Artificiale. Se non viene integrata con l’arte di comporre immagini e simboli, con l’arte della memoria e con i sigilli, insomma con gli altri strumenti che Bruno crea per ottenere alla fine la lingua imaginale, la logica lulliana non è in grado di mantenere le sue promesse e fallisce il suo obbiettivo, come accadde a Leibniz di dover ammettere perché non conosceva l’invenzione di Giordano Bruno.
Magia come ascesi del pensiero
La magia si basa sull’alterazione dello stato di coscienza che nella magia cerimoniale viene ottenuta (v. Papus, John Dee, Cornelio Agrippa, ma anche il Faust di Goethe) tramite la paura indotta dalla fede nella esistenza dei diavoli e dal convincimento che questi si possano evocare e comandare tramite formule speciali.
Alla base di tale impostazione metodologica sta palesemente l’impronta giudaico-cristiana riguardo la conoscenza.
Secondo il libro della Genesi infatti, l’albero della conoscenza è vietato all’uomo, e l’Adamo primordiale si sarebbe ben guardato dal trasgredire il divino precetto se Eva, cioè la sua parte femminile, irrazionale, creativa, esplorativa e trasgressiva, tentata dal demonio, non lo avesse convinto a gustare del frutto proibito.
La conoscenza, dunque, come atto contrario all’ordine naturale, che vuole l’essere umano attento al qui ed ora, incurante del futuro e del passato, entrambi sottoposti alla giurisdizione del divino.
Nell’ambiente pagano invece la conoscenza era considerata come diritto naturale dell’uomo, perché era stato acquisito una volta per tutte dal sacrificio di Prometeo, salito fino all’Olimpo per portare il fuoco della conoscenza giù agli uomini.
Del resto, afferma Bruno, l’uomo si caratterizza per l’intelligenza che non gli è stata donata a caso dal Creatore, quindi l’impiego di questa facoltà non può essere considerato contrario alla volontà del Creatore stesso.
Primo frutto dell’intelligenza, poi, sono gli innumerevoli strumenti tramite i quali l’uomo esercita le arti che imitano, correggono, potenziano l’opera della natura. Ne deriva che il potenziamento dell’intelligenza deve essere considerato come obbedienza al comando, e non al divieto divino di conoscere e di fare.
L’alterazione dello stato di coscienza viene quindi ottenuto non tramite la paura, il senso di colpa e tutte le altre emozioni negative legate al commercio con il demonio, ma attraverso il richiamo degli archetipi fondanti la nostra percezione del reale. Questi archetipi sono le categorie somme, gli stampi originali, su cui la materia si modella in continuazione. Si tratta di un’ascesi del pensiero che si stacca dal sensibile per andare alla ricerca delle forme astratte che costituiscono la causa del reale.
Vista la preminenza del mondo archetipico, che va considerato il mondo 1, ed essendo il mondo 3, il reale, staccato dal primo, occorre ipotizzare un mondo 2 che funge da mediatore tra i due.
Il mondo 2 è il mondo della cultura, della conoscenza, dell’intelligenza, del pensiero umano che si sforza di elevarsi fino agli archetipi.
Il processo di ascesi del pensiero è un’arte, un sapere che si può apprendere da chi lo possiede già. È l’apprendimento per eccellenza, la matesi cui fa riferimento Platone nel De Republica e Giamblico nel suo trattato sulla Teoria Generale della Matesi.
Se questo è vero dal punto di vista metodologico, tuttavia dobbiamo ammettere che per rango i tre mondi si articolano diversamente.
Il mondo 1 senza dubbio è il luogo dell’eccellenza dei modelli primi, e quindi merita tale posto perché costituisce la realtà della realtà. La realtà fisica tuttavia, essendo modellata direttamente dagli archetipi, merita, per la sua oggettività il posto numero due e il mondo della cultura il posto numero tre, come grado inferiore di oggettività. Il reale è vero e il vero è divino, sembra dirci Bruno, ma un divino che si apre alla facoltà superiore dell’uomo, la sua intelligenza.
Estratto dalla prefazione di L’incantesimo di Circe