È partita a settembre la missione Mosaic, un laboratorio galleggiante finanziato da 20 paesi (tra cui l’Italia) per uno studio multidisciplinare del clima artico. Per l’Italia partecipano il Consiglio Nazionale delle Ricerche, con l’Istituto di Fisica Applicata e l’Istituto di Scienze Polari. Seicento scienziati, a bordo della nave rompighiaccio tedesca Polastern, resteranno volontariamente ancorati ad una lastra di ghiaccio per un anno per studiare, tra le altre cose, gli effetti del riscaldamento globale.
Tutt’intorno una serie di stazioni di monitoraggio, una vera e propria città della scienza su ghiaccio. Insieme – nave e stazioni – si lasceranno trasportare dal pack e dovrebbero arrivare tra la Groenlandia e le isole Svalbard tra circa un anno, avendo a disposizione tutto il tempo necessario per analizzare le acque dell’oceano e studiare l’atmosfera con misurazioni e raccolta di campioni e dati.
La missione è particolarmente interessata a comprendere gli scambi di energia tra l’oceano e l’atmosfera: a tale scopo studierà la composizione delle nubi che nell’artico riscaldano la superficie del ghiaccio, ma anche le spaccature sulla superficie, che possono rappresentare un’altra fonte di calore. Anche il ghiaccio stesso sarà oggetto di studio, così come la presenza di fitoplancton e di altre forme di vita nell’oceano.
Infine, molta dell’attrezzatura sarà all’avanguardia: una speciale sonda a microonde per rilevare la composizione delle nubi; un robot teleguidato per scansionare il ghiaccio, un sistema di riscaldamento per tenere aperti i fori nel ghiaccio; lunghe lenze con centinaia di ami per pescare in profondità gli esemplari da studiare.
Per restare al sicuro, però, gli scienziati avranno bisogno anche di qualche sistema tradizionale: i razzi da segnalazione per allontanare gli orsi polari, troppo curiosi per tenersi alla larga da tutta questa attività.
La spedizione ha scelto un momento critico nella storia climatica dell’Artico, quello in cui i ghiacci hanno raggiunto una delle estensioni minime osservabili dai satelliti. L’anno del record fu il 2012, con appena 3,4 milioni di chilometri quadrati. Oggi siamo a 4,15. Gli esiti della ricerca sembrano dunque cruciali per ricorrere ai ripari e confermare che non è ancora troppo tardi.