Marconi inventore, premio Nobel, ma anche padre per Degna Marconi Paresce, figlia primogenita dello scienziato e dell’irlandese Beatrice Inchiquin O’Brien. Con un’appassionata e scrupolosa ricerca, raccogliendo documenti, testimonianze di amici e parenti, visitando i luoghi cari alla propria famiglia Degna, nel volume “Marconi, mio padre”, pubblicato da Di Renzo editore, ricostruisce la parabola della vita del genitore da ‘dietro le quinte’ della scena pubblica nota a tutti.
L’autrice ci introduce in una saga familiare che fa da sfondo alla vita dello scienziato, passando da Bologna all’Irlanda, patria della madre, da Pontecchio a Londra, dalla Cornovaglia al Canada, a cavallo di due secoli. Tutto comincia con il trasferimento dei nonni di Marconi, possidenti terrieri, a Pontecchio nella Villa Griffone, la casa laboratorio, dove Marconi appena adolescente rivelerà la sua passione per gli esperimenti sull’elettricità, tra lo stupore dei cugini, ed effettuerà nel 1895 la prima trasmissione senza fili.
Leggere il volume è come sfogliare un album dei ricordi. Il giovane Marconi appariva già ai suoi coetanei un ragazzo diverso, concentrato com’era sui suoi arnesi nella soffitta. Crebbe bilingue, cattolico ma educato alla fede anglicana dalla madre, irlandese dal temperamento concreto, venuta in Italia per studiare canto, e strenue sostenitrice delle attitudini del figlio. Svegliata all’alba dal figlio, sarà lei a sapere per prima del successo dell’esperimento.
A Livorno, l’incontro con un anziano telegrafista che gli insegnò l’alfabeto morse. ‘Su un tasto telegrafico collocato tra i vasi di gerani sul davanzale di una finestra, imparò a trasmettere le lettere dell’alfabeto’.
La mancanza di titolo di studio gli aveva impedito di iscriversi all’Università di Bologna, dove però fu ammesso come uditore alle lezioni di Augusto Righi che si rivelarono preziose per la sua formazione. A Bologna si recava a cavallo di un asinello. Il padre, non tollerando le divagazioni del figlio, gli aveva imposto una rigida disciplina.
Un giorno, si legge nel libro, il giovane fu costretto a vendere le scarpe per acquistare metallo, filo e batterie. Una nota spese dell’inverno 1894-1895 rivela lo spirito di sacrificio dello studente: ‘pane e salame per colazione: 0,25, una mela 0,05, stallaggio asino 0,50, totale 0,80 centesimi’. Non mancano ovviamente nel volume i retroscena di successi e insuccessi, episodi di concorrenza sleale,i momenti di crisi e di lutti familiari.
Marconi era ‘assorto e solitario’, amorevole verso i figli e la moglie, ma preso dalle sue ricerche più di ogni altra cosa fino a mettere a rischio i propri averi. Beatrice lo sosteneva. Nel 1905 si trasferirono a Port Morien, stazione radio in Canada, in una landa ghiacciata e desolata. La moglie ascoltava con lui i segnali, pur non comprendendone in pieno il significato. Anche Marconi aveva le sue manie: ‘salutista’, si impose ‘sonno regolare e dieta sana’. Ovunque si trovasse, ‘alle otto in punto faceva colazione con tè, burro e marmellata d’arancia, pane tostato e due uova’, perché era certo che gli sarebbe stata servita in tutto il mondo. E poi, ‘anche quando faceva caldo, indossava sempre abiti scuri, con i colletti alti’ il colore della sua cravatta era pendant con il fazzoletto nel taschino. ‘Aveva l’aspetto di un elegante uomo d’affari’.
Con delicatezza e benevolenza filiale, non disgiunta da qualche nota risentita per la debolezza del padre ‘verso le belle donne’ e per il divorzio da sua madre.
Sandra Fiore
(Almanacco della scienza)