Sostenitore di un’educazione basata sulla diversità e la comunicazione, Sylvester James Gates è noto sia per le sue ricerche di fisica teorica, sia per il suo sforzo di accrescere la diversità di vedute in tale ambito. Gates è professore “John S. Toll” di Fisica all’Università del Maryland, dove studia la natura dell’universo attraverso la lente della supersimmetria, una teoria che ha previsto alcune delle particelle fondamentali del Modello Standard e potrebbe rappresentare il prossimo passo verso una Teoria unificata del Tutto. È anche il primo afro-americano ad aver ottenuto una cattedra di fisica presso una grande università degli Stati Uniti.
Ha ottenuto la laurea – in fisica, prima, e in matematica, poi – presso il MIT, dove ha portato a termine anche il suo dottorato di fisica. Nel 2006 ha ricevuto il Premio per la Scienza e la Tecnologia dell’American Association for the Advancement on Science ed è stato membro del Comitato per l’Educazione, dello Stato del Maryland, dal 2009 al 2016. Nel 2009, Barak Obama l’ha nominato presidente del Council of Advisors on Science and Technology e nel 2013 ha vinto la Medaglia nazionale per la Scienza, grazie ai suoi contributi nel campo della fisica.
Oltre al suo lavoro accademico, Gates parla spesso della complementarietà esistente tra fede e scienza, sostenendo che non sono affatto in opposizione come molti credono. L’Università di Villanova gli ha conferito la medaglia Mendel nel 2013 proprio per il lavoro compiuto, nella sua vita di scienziato, per dimostrare che non c’è alcun conflitto intrinseco tra scienza e religione.
A tal riguardo, è possibile vedere alcune delle sue conferenze qui:
Come è nato il suo interesse per la scienza?
Quando avevo 4 anni, mia madre mi portò a vedere il film “Viaggio nell’interspazio” (Spaceways). È il primo film che ricordi di aver visto e parlava di astronauti e di un viaggio nello spazio. Era una strana combinazione di avventura, amore, omicidio e mistero, ma è la parte sul viaggio spaziale che mi ha catturato. È stato allora che ho cominciato a pensare alla scienza.
Quindi era uno di quei bambini che cercano di capire come funzionano le cose?
Certamente. Ci sono molti ricordi, risalenti a quell’età, che mi confermano di essere stato un bambino così. Mio padre portava i giocattoli a casa e li smontava per vedere com’erano dentro. Raccontava delle storie bellissime.
L’interesse per la matematica e la scienza era di famiglia?
Non direi, ma è stato nutrito dai miei familiari. Come ogni bambino, quando avevo delle domande, andavo da mio padre. Solo una volta diventato grande mi sono reso conto di quanto ciò fosse strano, visto che lui non aveva mai fatto gli studi secondari. Aveva solo il diploma della scuola dell’obbligo.
Ricordo che una volta gli chiesi: “Papà, ti ricordi che quando ero piccolo ti facevo un sacco di domande?”. “Certo”, disse lui. “E ti ricordi che tu avevi sempre le risposte?”. “Sì. Lo ricordo”. “Come facevi?”. E lui rispose: “Quello che tu non ricordi è che quando non avevo una risposta da darti subito, andavo a cercarla e il giorno dopo te la portavo”. Ecco, è così che mi sono abituato all’idea che ogni domanda ha una risposta.
Anche se mio padre non ha mai avuto l’opportunità di andare al college, da giovane avrebbe desiderato farlo e per questo ha fatto in modo che i suoi figli potessero. A cena, a casa nostra, la domanda non era “andrai al college?”, ma “a quale college andrai?”
Si direbbe che lei non abbia remore a parlare di fede, cosa insolita per uno scienziato. Come mai?
Mia madre è morta quando avevo 11 anni. Cominciai a farmi delle domande su cosa le fosse accaduto. Presi a studiare per cercare di capire dove fosse andata. Per me non era soltanto una questione fisica. Sono sempre stato convinto che l’anima e lo spirito fossero elementi altrettanto importanti sui quali interrogarsi.
Mi piaceva leggere, così la cosa più semplice fu cominciare a leggere sull’argomento. Ho studiato tutto ciò che riguardava la fede, partendo dalla mitologia greca e romana, quella norvegese, le credenze di Maya, Inca, il buddismo, il confucianesimo… Credo che le domande più importanti per un essere umano siano: Chi sono? A che punto mi trovo? Cosa sto facendo? È un percorso naturale di indagine.
Come è arrivato alla fisica?
C’è stata una persona che mi ha fatto capire che non era la scienza in generale quello che mi interessava, bensì la fisica soltanto. Il suo nome era Freeman Coney ed era professore di fisica al liceo Jones, un istituto storico per neri a Orlando. Aveva una laurea in fisica, quindi io ho imparato la materia da qualcuno che la conosceva bene. Due settimane nel suo corso e sapevo già cosa avrei fatto da grande.
Un giorno, durante la lezione, Coney prese un tavolo, vi attaccò un metro, lo inclinò e vi fece scorrere sopra una pallina da golf. Dimostrò così che la distanza percorsa dalla pallina è proporzionale al quadrato del tempo segnato dal cronometro mentre la sfera scivola verso il basso.
Mi sembrò un autentico gioco di magia, dato che per me la matematica era fino a quel momento una questione soltanto immaginaria, qualcosa che risiedeva fra le mie orecchie, una delle cose che accadono nel cervello. Vedere la matematica agire direttamente nel mondo circostante mi colpì profondamente. Avevo 16 anni.
Trovavo confortevole costruire il mondo nella mia testa ma ora, scoprire che quel che accadeva dentro di me aveva anche a che fare con il mondo fuori, fu stupefacente. È stato un po’ come svegliarmi e scoprire di essere a Hogwarts e trovarmi circondato di tutto ciò che avevo letto sui libri.
Lei ha studiato sua matematica che fisica, prima di scegliere la fisica teorica. Si tratta di un campo di studi che richiede ricerche di anni, se non decenni, per trovare risposte (o per non trovarle comunque). Non crede che questo contrasti con la storia di suo padre che aveva una risposta per ogni sua domanda?
No. Con la maturità, la prima cosa che impari sono i limiti. Esistono dei limiti a quello che l’essere umano può fare. Così come ognuno di noi incontra dei limiti nell’arco di una vita. Ciò che mio padre mi ha insegnato a fare è mettermi nella modalità di pensiero per cui, se ho una domanda, avvio un processo per cercarne la risposta. Senza che ciò mi crei stress.
Le sue ricerche riguardano la supersimmetria, che affronta molte delle questioni fondamentali sulla natura dell’universo. Come mai ha scelto di dedicarsi a questo argomento?
Ho sempre saputo di voler condurre la mia vita sulla linea di confine tra matematica e fisica, dato che quel che mi ha portato alla fisica è stato proprio la magia e l’incanto delle proprietà matematiche applicate al mondo fisico. Che è appunto ciò che fa la fisica teorica.
La supersimmetria, una sottocategoria della fisica teorica che ho scoperto aver monopolizzato la gran parte della mia vita, era un’idea veramente nuova quando cominciai i miei studi. La letteratura scientifica occidentale aveva iniziato a parlarne da appena due-tre anni e io volevo assolutamente distinguermi da tutti gli altri studenti del MIT. Difatti, nel 1975, non c’era nessun altro che fosse interessato alla supersimmetria nel dipartimento di fisica o negli altri dipartimenti.
Fui attratto dalla sua struttura matematica, diversa da qualsiasi cosa avessi studiato durante la laurea. Inoltre capii subito che c’era un’implicazione interessante: esistono più forme di materia ed energia di quelle conosciute. Queste due cose insieme mi convinsero che avrei potuto dare il mio contributo alla scienza in questo campo.
Sia la matematica che la fisica giocano un ruolo primario nel descrivere e provare le fasi iniziali della vita dell’universo. Ci sono però persone che pensano che l’origine dell’universo sia una questione esclusivamente religiosa. Cosa ne pensa di questa contrapposizione tra scienza e fede?
Non ho mai vissuto, nella mia vita, una separazione tra scienza e convinzioni religiose. Il biologo evolutivo Steven J. Gould ha spiegato come la fede e la scienza non siano in conflitto usando l’espressione “magisteri non sovrapponibili”. Trovo l’idea affascinante, perché corretta – ci sono analoghi meccanismi in ogni sfera del credere, sia esso religioso o scientifico – e rispondente alla proprietà degli attributi non paragonabili.
Ho trascorso molti anni pensandoci e mi è venuto in mente che anche la scienza ha i suoi “meccanismi”: noi scienziati non solo offriamo alla gente la nostra migliore interpretazione di ciò che sta accadendo nell’universo, ma prestiamo anche attenzione a quel che non sappiamo e che chiamiamo “barre di errore” o “barre di confidenza”. Diamo all’incertezza la stessa attenzione, misurando i valori di quel che ci circonda. C’è sempre un tot di incertezza in qualsiasi argomento scientifico.
Ciò risulta interessante, in ambito fideistico, perché così come esistono incertezze in qualsiasi convinzione, ce ne sono altrettante nelle convinzioni ad essa contrarie. Secondo me questo è il meccanismo di sicurezza che la scienza ha costruito al suo interno per non intromettersi in sistemi basati su credenze religiose.
Il meccanismo di sicurezza della religione è diverso. Sant’Agostino, un santo della Chiesa Cattolica, diceva che le persone di fede, quando parlano del mondo naturale e osservano e registrano onestamente fenomeni in opposizione alle loro credenze, dovrebbero cambiare le loro convinzioni, e non viceversa.
Ho in mente una bella immagine simmetrica, che dà ragione a Gould. Le due cose non si sovrappongono, perché sono molto diverse tra loro. E credo che scienza e religione siano entrambe necessarie alla nostra sopravvivenza.