I secchi di via Panisperna

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«Il giardino, non grande, limitato da una parte dal muro dell’antica chiesa di San Lorenzo in Panisperna, era un luogo romantico, e Lodovico Zanchi, che ne aveva cura, vi aveva fatto mettere piante di fiori, alberi da frutto e pesci rossi nella vasca».

Con queste parole Laura Fermi, moglie di Enrico, introduce nel suo libro “Atomi in famiglia” la celebre vasca dei pesci rossi del Regio Istituto Fisico di Roma, che tanta importanza avrebbe rivestito nella storia del XX secolo. Motivo: in essa avvenne la scoperta fondamentale per il futuro sviluppo della bomba atomica, ossia che i neutroni lenti sono assai più efficaci di quelli veloci nel produrre le reazioni nucleari. Ma come mai Fermi e gli altri «ragazzi di via Panisperna», quello storico 22 ottobre 1934, ebbero L’idea, apparentemente bislacca, di immergere dei cilindretti di argento da sottoporre a radiazione di neutroni nella vasca piena d’acqua dell’ex-convento delle suore?

Una spiegazione soddisfacente non è fornita né dal citato libro della moglie-assistente del premio Nobel («proviamo un po’ a immergere l’argento in una grande quantità d’acqua», suggerì Fermi), né da altri libri che narrano le vicende di quella scoperta (per esempio “Enrico Fermi, fisico” di Emilio Segrè e “Materia e antimateria” di Ginestra Amaldi).

Ci provano adesso i due fisici Fabio Cardone e Roberto Mignani dell’Università di Roma Tre, sostenendo che la vera causa della fondamentale scoperta furono dei secchi d’acqua della donna delle pulizie (“Enrico Fermi e i secchi della sora Cesarina”, Di Renzo Editore, 2000).

Armati di quel giusto mix di spirito dissacratore, atteggiamento sornione e acume investigativo che non possono mai mancare tra le doti di uno scienziato che si rispetti, Cardone e Mignani sono andati a frugare tra i resoconti e le memorie dei protagonisti dell’epoca, scoprendo che presentavano ciascuno una versione diversa dei fatti, e soprattutto non fornivano una spiegazione plausibile per il poco ortodosso ricorso alla vasca dei pesci rossi.

Finalmente i due hanno trovato il bandolo della matassa nel Museo della Fisica della «Sapienza» di Roma, grazie alla testimonianza dell’anziano custode Mario Berardo (deceduto nel febbraio 1999). Questi, all’epoca quattordicenne tecnico assegnato a Fermi, ricorda distintamente come si svolgevano i fatti.

La «sora Cesarina», al secolo Cesarina Marani, donna delle pulizie, invece di riempire i propri secchi al lavandino del pianterreno come da istruzioni ricevute, si serviva del lavandino di uno dei laboratori, e li nascondeva sotto un tavolo dotato di tendine. Il tavolo era proprio quello dove si svolgevano gli esperimenti di irradiazione, i cui risultati venivano influenzati dall’acqua dei secchi.

Perciò Fermi ripeté gli esperimenti, dapprima in uno dei secchi, e poi in una maggiore quantità di acqua, scegliendo appunto la vasca dei pesci rossi (anche per la convinzione che la pietra delle pareti fosse trasparente all’irraggiamento neutronico). Questa versione dei fatti è stata puntualmente confermata nel 1958 da Oscar D’Agostino, il chimico di via Panisperna al giornale «Candido» di Guareschi.

I secchi della signora Cesarina osservano Cardone e Mignani, svolsero quindi una duplice funzione, in quanto fecero capire che, contrariamente alla credenza comune, la radioattività era indotta in modo apprezzabile solo dai neutroni lenti, e inoltre «permisero di individuare immediatamente qual era la sostanza più adatta a frenare i neutroni».

Quindi sarebbe stato ancora una volta il caso a determinare un progresso scientifico, come già altre volte è successo nella storia della scienza (dalla vasca di Archimede alla mela di Newton, alla carta fotografica di Becquerel). Ed è proprio l’apertura di un dibattito sul metodo scientifico il fine ultimo del libro, che oltre alla rimozione dell’elemento «caso» dalle storie ufficiali sui lavori di via Panisperna segnala anche la presenza dell’elemento «pregiudizio», che impedì ai giovani fisici di accorgersi che avevano realizzato la prima fissione nucleare della storia.

«La ragione della nostra cecità non è chiara nemmeno oggi», scriverà molti anni dopo Emilio Segrè, ma forse quella cecità non colpì proprio tutti i «ragazzi». Le memorie di Oscar D’Agostino riportano infatti l’interesse del genio della matematica Ettore Majorana per la scoperta di Fermi, insieme a un episodio che si trova confermato dal matematico Umberto Bartocci in un suo libro su Majorana: la violenta discussione tra questi e Fermi sulla interpretazione teorica delle recenti scoperte, davanti a lavagne piene zeppe di numeri e formule.

Majorana poco dopo scomparve misteriosamente, durante un viaggio in nave da Palermo a Napoli dove non tornò mai. La sua inspiegabile scomparsa, sapientemente analizzata nel racconto-inchiesta di Leonardo Sciascia, «potrebbe testimoniare», secondo Cardone e Mignani, «di una sua possibile lettura drammatica, addirittura profetica… degli esperimenti di via Panisperna».

Insomma una storia carica di sorprese, quella della scoperta dell’energia nucleare.

Technology Review, anno XIII, n. 5 – Settembre-Ottobre 2000

Angelo Gallippi
Docente di informatica generale all’Università di Macerata