Perché 40 anni senza Luna?

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Nel 2012 alla fine di dicembre si compiranno quarant’anni dall’ultimo sbarco dell’uomo sulla Luna, quello della missione Apollo 17. Per la cronaca, una cronaca che ormai è storia, il geologo Harrison Schmitt, unico scienziato tra gli astronauti dell’intero Programma Apollo, fu l’ultimo a scendere sul nostro satellite, e il comandante Eugene Cernan l’ultimo a lasciarvi un’impronta, in quanto Schmitt seguì il comandante nell’uscita dal Lem, il Modulo Lunare, e lo precedette nel rientrarvi.

Perché quarant’anni senza Luna? Perché la Nasa non ha continuato a inviarvi i suoi astronauti? Risponde Umberto Guidoni, astronauta veterano, con alle spalle due voli sullo Shuttle, primo europeo a entrare nella Stazione spaziale internazionale: “Paradossalmente il programma lunare fu ucciso dal suo stesso successo. Una volta raggiunto l’obiettivo, le spese, anche quelle già previste, furono considerate non più necessarie”.

Troviamo questa spiegazione del libro più recente di Umberto Guidoni, “Dalla Terra alla Luna. Il Progetto Apollo 40 anni dopo” appena pubblicato dall’editore Di Renzo (Roma), 155 pagine, 16 euro. Un libro che si distingue da tutti gli altri dedicati alle imprese lunari perché scritto da un astronauta, quindi da un autore di estrema competenza sull’argomento, ma un astronauta “esterno” al Programma Apollo e appartenente alla generazione seguita a quella dei pionieri.

Le motivazioni della conquista americana della Luna – spiega Guidoni – furono quasi esclusivamente politiche e si collocano nel quadro della “guerra fredda” che caratterizzò la scena mondiale dal 1945 al 1989, e in particolare i rapporti tra le due superpotenze nucleari, Stati Uniti e Unione Sovietica. Il successo, dunque, causò l’addio alla Luna: ma il successo strategico, politico, militare, non il successo scientifico, che fu sempre considerato secondario, un ovvio “effetto collaterale” degli obiettivi che erano il vero motore di tutto.

Guidoni però analizza anche l’aspetto economico, che non fu da meno nel liquidare la corsa alla Luna: “Al picco dell’attività, nel 1965 – scrive – il costo annuale del Programma Apollo era poco meno dell’uno per cento del Pil (prodotto interno lordo) degli Stati Uniti, assai di più di quanto l’amministrazione americana è stata disposta a spendere per i grandi programmi scientifici e tecnologici degli ultimi anni.

Negli anni ‘90, il budget della Nasa era intorno allo 0,25 per cento del Pil, appena un quarto dell’Apollo: abbastanza per permettere di realizzare i quattro veicoli della flotta degli Space Shuttle, sviluppare la Stazione Spaziale e condurre l’esplorazione di Marte con sonde automatiche, ma certamente non più sufficiente per portare avanti l’esplorazione della Luna.

Più recentemente, nel 2006, la Nasa ha ricevuto appena lo 0,13 per cento del Pil.”. Insomma: “Proprio l’elemento politico-strategico, legato alla sicurezza nazionale – conclude Guidoni – aveva consentito di mettere in piedi il primo e unico progetto spaziale senza limiti di spesa”.

Il libro parte dal contesto mondiale in cui maturò la corsa alla Luna: lo shock dello Sputnik, il primo satellite artificiale, messo in orbita dall’Unione Sovietica a dimostrazione che nessuna regione del pianeta poteva più sentirsi al sicuro da un eventuale attacco nucleare; la rincorsa americana; la sfida lanciata dal presidente Kennedy (incauta, all’epoca, ma fortunata con il senno di poi); i programmi Mercury e Gemini; le sonde automatiche che prepararono gli sbarchi; il cedimento sovietico in una gara nella quale non aveva senso arrivare secondi: o vincitori o niente.

Si sarà capito: ci sono molti buoni motivi per leggere questo libro, che contiene tutte le informazioni e i dati utili sulla conquista della Luna, missione per missione, ma risponde anche agli interrogativi che si sono accumulati negli anni successivi, compresi quelli posti dagli scettici, i complottisti che negano la realtà degli sbarchi lunari e pretendono che si sia trattato di una gigantesca simulazione.

A parte le contro-obiezioni tecniche, Guidoni utilizza anche un argomento filosofico: “nel caso dell’Apollo forse vale la pena di attenersi a quanto affermato da Occam: la verità è spesso la spiegazione più semplice”. A ciò si aggiunge la testimonianza personale: “Dei 12 uomini che camminarono sulla Luna ne ho conosciuti cinque: Neil Armstrong e Buzz Aldrin dell’Apollo 11, John Young dell’Apollo 14, Cernan e Schmitt dell’Apollo 17. Sebbene diversissimi per carattere e per storie di vita, tutti sono credibili nei particolari dei loro racconti”.

E non dimentichiamo che i sovietici controllarono da vicino con le loro sonde le missioni degli astronauti americani, e ammisero la loro sconfitta nella corsa alla Luna. Cosa non facile in piena guerra fredda. Il futuro? Luna o Marte, bisogna continuare l’esplorazione dello spazio, dice Guidoni, ma per motivi opposti a quelli che mandarono avanti il Programma Apollo. Oggi solo una pacifica cooperazione può sostenere nuove conquiste spaziali, e a loro volta, come dimostrò la Mir e ora dimostra la Space Station, le attività spaziali diventano una spinta al dialogo e alla pace tra i popoli.

Ma c’è dell’altro. “Avventurarsi oltre la Terra – dice Guidoni nelle ultime righe del suo libro – ci aiuta a conoscere meglio noi stessi e ad amare e rispettare il nostro pianeta che, almeno per il momento, è l’unica oasi abitabile nel Sistema Solare. Per questo mi auguro che, un giorno, lo spazio possa essere alla portata di tutta l’umanità.”.

Piero Bianucci
(Lastampa.it)