La bagarre nata più di un secolo fa sulla funzione dei sogni e sulle sua natura non tende a scemare, segno di quanto l’argomento mal si presti al dogmatismo che le discipline psicologiche tendono talvolta a voler consolidare per esigenze di credibilità.
Ma le diatribe dottrinale sono anche un buon indice di quanta importanza possa avere il simbolo onirico per arrivare all’individuazione di un mezzo diagnostico adeguato e di una conseguente psicoterapia.
Con “Nel mondo dei sogni” Aldo Carotenuto, noto divulgatore di area junghiana, si propone di stilare una cronologia delle teorie sviluppate in età moderna, saltando per fortuna a piè pari il bailamme di teorie religioso-antropologiche che gravano pesantemente sulla saggista del settore.
Ma Carotenuto ci prende in contropiede partendo non come verrebbe di pensare con l’oramai classico “L’interpretazione dei sogni” di Freud del 1899, ma da un po’ più in dietro, da quei curiosi mezzi d’indagine ideati da due sperimentatori di ambito fisiologico.
Nel 1861 Alfred Maury diede alle stampe un resoconto dell’indagine sulle proprie esperienze con il sonno, convinto dell’interazione degli stimoli fisiologici ed esterni con la produzione di immagine ipnagogiche, forte di esperimenti eseguiti con la pressione delle dita sui bulbi oculari e di parole chiave suggerite dagli assistenti nel momento dell’assopimento.
A ben altro metodo si rifaceva il marchese Hervey de Saint Denis che da provetto pittore usava le immagini mnestiche per compilare una sorta di catalogo illustrato dei propri sogni inseguendo un percorso verso il proprio centro della volontà. Poi venne Freud ed il sogno dall’esterno si ritrasse nel cervello, sbocco spurgante dell’impulso sessuale represso dalla necessità della censura, con Edipo che sgambettava per svincolarsi da tutti quei meccanismi a bilanciere che lo imbrigliavano.
Lo svizzero Jung ribaltò la questione schiudendo le porte all’inconscio collettivo e dando voce al curioso mondo degli archetipi, per cui il sogno divenne indispensabile termometro dello stato salute della psiche sul lungo percorso dell’individuazione, rivelandosi così un potente mezzo rivelatore anziché censorio.
Per il più concreto e marziale Adler il sogno compensava i complessi d’inferiorità e placava nella maniera più indolore l’istinto di aggressività sviluppatosi per conseguenza. Negli ultimi quarant’anni seguendo la strada indicata da Jung, buona parte della frangia sperimentale della Psicologia Umanistica capeggiata dal psichedelico Stanislav Grof, si è avventurata con il sogno indotto e le tecniche sciamaniche nel mondo transpersonale ottenendo risultati sorprendenti, che però chiudendo il cerchio vanno a riversarsi paradossalmente proprio in quelle categorie etnico-religiose che i precursori della psicologia moderna avversavano.
Ma Carotenuto non prendendo posizione sulla questione, dà spazio anche a molti altri studiosi più o meno conosciuti che hanno contribuito con le loro interpretazioni a tenere sempre desta la fiamma della ricerca, soffiandoci sopra con diverso vigore e rischiando talvolta anche di bruciarsi.