C’era una volta una galassia lontana, lontana… No, non è l’inizio di una fiaba, ma la premessa di una recente scoperta avvenuta nello spazio ad opera dell’Agenzia Spaziale Europea.
E infatti, la protagonista di questa storia non è una bella principessa, ma una galassia di Markarian, caratterizzata cioè da un’emissione nell’ultravioletto molto più intensa rispetto alle altre galassie note. Più precisamente, Markarian 817, a 430 milioni di anni luce da noi, nella costellazione del Dragone: una galassia a spirale osservata per la prima volta dal Telescopio Spaziale Hubble nel 2009.
Come le principesse delle fiabe, Markarian 817 è bellissima, con anelli di stelle blu, particolarmente brillanti, intorno a un cuore pulsante minacciato però da una forza oscura ma non più tanto misteriosa: un enorme, massiccio buco nero.
Ma più che un terribile nemico – un orco cattivo, un mago malvagio, una matrigna crudele – il buco nero di Markarian 817 sembra piuttosto uno gnomo dispettoso, che si diverte a fare esplodere materiale nello spazio circostante a 14 milioni di km orari. Lo stesso Hubble era stato in grado di catturare la potente fuoriuscita di materiale dal buco di nero, 40 milioni di volte più massiccio del Sole, che proprio come un bambino capriccioso si diverte a “imbrattare” la bellezza luminosa di questa galassia.
Proprio in questi giorni il buco nero birichino è stato colto in flagrante da XMM-Newton, il più grande satellite scientifico europeo, dotato di 3 telescopi (prodotti in Italia) in grado di osservare con sensibilità e precisione processi fisici tra i più disparati.
Sappiamo che un buco nero supermassiccio si trova al centro di tutte le galassie, attirando con la sua gravità i gas dall’ambiente circostante, che si concentrano intorno ad esso in un disco piatto. Il gas più vicino al buco nero viene da esso “divorato” mentre parte della materia viene rigettata al di fuori della galassia da venti potentissimi, prodotti da fasci di particelle dotate di carica. Parte di essa rifluisce nuovamente nella galassia, mentre il resto si disperde nel gas intergalattico.
L’ipotesi degli scienziati è che nei casi più estremi il gas del disco piatto possa essere lanciato in tutte le direzioni a una tale velocità da annientare il gas interstellare che lo circonda. In questo modo il buco nero non avrà più di che “cibarsi” e soprattutto non sarà più possibile la formazione di nuove stelle.
XMM-Newton è riuscito a osservare il buco nero di Markarian 817 proprio mentre faceva le bizze, nell’atto di provocare un vento forte (definito proprio “da buco nero”), superveloce, e che di norma è possibile riscontrare in galassie con dischi estremamente luminosi. La novità sta nel fatto che stavolta il vento ultraveloce è stato identificato in una galassia di media luminosità: un fenomeno reso ancora più raro dalla conseguente alterazione della struttura della galassia in cui si sviluppa, non più in grado di formare nuove stelle.
L’osservazione è dunque importante perché ci rivela che i buchi neri sono in grado di rimodellare le galassie in cui si trovano, gettando luce sui meccanismi con cui buchi neri e galassie evolvono insieme.
Lo studio sul buco nero di Markarian 817, presto pubblicato sull’Astrophysical Journal, ha coinvolto anche l’Università italiana di Roma Tre, insieme all’Università del Michigan, ed è passo importante nella comprensione del funzionamento dei corpi celesti e dei fenomeni che si verificano nello spazio.
Nelle fiabe, le principesse vengono sempre salvate da un principe: l’ESA e le altre agenzie spaziali del mondo continueranno a osservare l’universo. Speriamo con un lieto fine.