La parola “brevetto” è strettamente collegata al concetto di proprietà intellettuale, capitolo importante delle normative internazionali che regolano, per l’appunto, i confini e i comportamenti di chi ha prodotto un bene suscettibile di sviluppi che possono portare ad una produzione ed ad un guadagno concreto. Si parla di invenzioni, di idee più o meno sviluppate, e di come tutelare colui che ha avuto una bella idea, concretamente sfruttabile.
Da sempre il brevetto è considerato un fatto collegabile ad una industria: sono infatti le industrie che curano gli aspetti produttivi, e quindi la realizzazione su vasta scala di qualcosa che la mente umana ha concepito.
Qualcosa che il brevetto protegge dalla copiatura, fenomeno diffuso che sta assumendo da un paio di lustri dimensioni inusitate, con grave danno economico per chi ha impiegato tempo, denaro, cervello per produrre in esclusiva qualcosa che altri producono scopiazzando qua e là, spesso in paesi nei quali la mano d’opera incide in misura minore sul costo totale.
Le nostre università hanno molto stentato ad accettare ed introdurre negli schemi normativi la brevettazione dei risultati delle ricerche. Per decenni ha aleggiato nei nostri atenei una mentalità pauperistica ed anti industriale che ha respinto ogni idea di applicazione. Con le debite eccezioni: Natta creò il polipropilene nei laboratori del politecnico di Milano, i professori della università di Pisa crearono nell’ambito del progetto Elea voluto da Adriano Olivetti il primo computer portatile del mondo.
Ma è stato solo dopo la caduta del muro di Berlino che sono sorti nelle università uffici brevetti degni di questo nome, e che il brevetto ha cominciato ad essere uno strumento normale nel panorama della comunicazione scientifica.
Parlare di brevetti, di know how, di spin off è oramai fatto comune. Benvenuto questo testo, che veicola in modo soffice ma preciso quello che un ricercatore deve sapere, per proteggere sé stesso e l’università che ha finanziato le ricerche dalle conseguenze di un comportamento maldestro in fase di brevettazione. Un testo moderno, aggiornato, leggibile senza sforzo, che colma una lacuna, e che ogni ricercatore dovrebbe leggere nel momento in cui inizia la sua vita operativa.
Gli autori nella premessa del libro dicono:
“Prima della nostra conversazione ritenevo che il brevetto fosse il punto di arrivo della mia invenzione, mentre ora mi è chiaro che invece il brevetto è un punto di partenza!”.
Questo ci disse, dopo un incontro, un inventore al quale avevamo illustrato alcuni dei principi e delle strategie che sono la base della brevettabilità e della gestione delle invenzioni e dei brevetti che le tutelano.
In decenni di consulenze e di incontri con inventori, tecnici e ricercatori ci siamo resi conto che molti di essi necessitavano di informazioni precise su come orientarsi prima e dopo la generazione di un’invenzione. Un manuale conciso che potesse far comprendere ad un inventore il modo migliore per ottenere il massimo frutto dal risultato delle proprie ricerche o intuizioni sarebbe stato di grande utilità.
Auspichiamo che, con l’aiuto di questo manuale, i Lettori comprendano cosa sia la Proprietà Industriale e come debbano essere gestiti in particolare i brevetti e le invenzioni. Esso non vuole sostituirsi al consulente in Proprietà Industriale, figura indispensabile per gestire proficuamente la complessità della materia e delle procedure da seguire, ma vuole aiutare l’inventore, che sia un manager o un accademico, a capire il lavoro svolto dal consulente e a prendere con lui le giuste decisioni nei momenti cruciali.