Non ha voluto arrivare al suo centesimo compleanno.
Se è vero – come sosteneva proprio lei, Anne Ancelin Schützenberger, psicoterapeuta e scrittrice – che nulla nelle nostre vite avviene per caso, allora anche questo va interpretato.
Nata il 29 marzo del 1919 a Mosca, e morta questo 23 marzo a Parigi, sarebbe diventata di qui a un anno una “centenaria” e, per come la ricordo io, credo si sentisse ancora troppo giovane e vitale per accettare un simile appellativo.
La sua famiglia (una figlia, cinque nipoti, un pronipote) è stata probabilmente il banco di prova di molte delle sue teorie, a partire dalla psicogenealogia – arte di leggere e interpretare la psicologia familiare alla luce dei legami transgenerazionali – della quale è stata capostipite e terapeuta.
Professoressa emerita all’Università di Nizza, psicodrammatista, psicoanalista di gruppo e transgenerazionale, ha dedicato 80 lunghi e intensi anni alla costruzione di due scuole di pensiero e terapia: l’Ecole Française de Psychodrame e la Anne Ancelin Schützenberger Transgenerational International School.
Soprattutto, Anne ha avuto la determinazione di “divertirsi” ogni singolo giorno della sua vita, facendo quel che più le piaceva: curare anime smarrite. Come? Attraverso la narrazione recitata delle proprie storie familiari: scheletri negli armadi, parole non-dette, malattie segrete, fantasmi e paure inconsce, trovavano con lei una modalità espressiva. Avrebbe potuto essere soltanto una giallista, magari della fama di un’Agatha Christie, se al racconto non avesse unito anche la voglia di “sanare”, intesa come volontà di ricucire quello strappo col passato che ognuno di noi si porta dentro.
È diventata la miglior psicodrammatista dopo il suo maestro e amico Jacob Levi Moreno. È stata la miglior terapeuta del lutto e delle separazioni. Ha ascoltato, assistito e dipanato migliaia di storie, di ferite, di dolori e traumi irrisolti. E tutto ciò non è avvenuto per caso. Lei l’ha fortemente voluto e costruito.
Da giovane ventenne emigrata negli Stati Uniti – dopo aver visto morire in un campo di concentramento suo padre, Simon Eynoch, nel 1942 – andò alla ricerca di quello che all’epoca era l’ambiente più effervescente e innovativo del dopo-psicoanalisi: il gruppo di Palo Alto, in California.
Erano gli inizi di una straordinaria avventura scientifica: il rapporto mente-cervello, le prime terapie cognitive, le prime immagini computerizzate del cervello, gli studi sul linguaggio, le tecniche di psicoanalisi e teatro/danza – dalle quali si svilupperà poi lo psicodramma di Jacob Levi Moreno – le prime gruppo-analisi.
Al suo fianco, l’uno maestro e insieme discepolo dell’altro – perché di capostipiti ancora non ce ne erano – Gregory Bateson, Paul Watzlawich, Edward T. Hall, Erwing Goffman, Ray Birdwhistell, ma anche Moreno e la nascente psicosociologia, Carl Rogers e Abraham Maslow – con la loro psicologia umanistica di impronta sociologica – Donald Winnicott e Françoise Dolto con la pediatria psicoanalitica. E questi sono soltanto una magra parte dei compagni d’avventura di Anne, che per quarant’anni ha girato il mondo in cerca del “meglio” e del “nuovo”, in un panorama – quello psicoanalitico – altrimenti morente.
Ci ha lasciato libri bellissimi, dove non si parla di teorie, ma di persone, di storie, di vita: “La sindrome degli antenati”, “Una malattia chiamata genitori”, “Psicogenealogia”, “Esercizi pratici di psicogenealogia”, “Uscire dal lutto”, “Lo psicodramma”, “Il piacere di vivere”, “La lingua segreta del corpo”. Libri giovani, forieri di ulteriori ricerche e sviluppi, libri attuali.
I suoi funerali si terranno il giorno del suo novantanovesimo compleanno: comunque prima che la si possa chiamare “secolare”.
Di Sante Di Renzo