Perché la gente sente la necessità di mentire? Ho usato di proposito la parola “necessità”, anziché “opportunità”, perché a mio parere si tratta di un bisogno imprescindibile, a cui nessuno può sottrarsi. Anche i più onesti sostenitori della sincerità avranno avuto almeno un’occasione per mentire, foss’anche per ragioni altruistiche.
Quanto all’altruismo di una bugia, ho i miei ragionevoli dubbi. Prendiamo il caso classico dell’invito a cena: il proprietario di casa ci chiede se abbiamo gradito il pasto e noi, mentendo, rispondiamo di sì. Indubbiamente nella nostra scelta di mentire c’è una buona dose di educazione e di sincera preoccupazione per i sentimenti altrui, ma c’è anche una comoda via di fuga dalla responsabilità e dai sensi di colpa che la verità scatenerebbe.
Se sia predominante la prima o la seconda ragione è difficile dirlo, ma conoscendo l’animo umano sarei propenso a credere che le ragioni prettamente egoistiche premano di più di quelle altruistiche. Ossia la vera coercizione a comportarsi educatamente è esercitata dai sensi di colpa, dal Super-Io. Con ciò ritengo comunque che le bugie siano estremamente utili, proprio per questa loro valenza liberatoria dalla pressione di un dettato di natura interiore.
Ovviamente, non sto parlando di quei casi estremi, da patologia clinica, in cui il mentire diventa a sua volta un dettato, se non un dogma, coercitivo. Fin dai primi anni della nostra vita, la bugia si configura come spazio della fantasia.
Il bambino, infatti, prima di apprendere l’utilità pratica di una bugia, ne riconosce il piacere: la possibilità di creare, a proprio piacimento, una realtà altra che risulti più fedele ai suoi desideri e contribuisca a mantenere lontane le angosce.
Le prime bugie che si osservano in un bambino sono assolutamente innocue, prive, se vogliamo, di un secondo fine, come il dire di aver mangiato una caramella anche quando ciò non corrisponde al vero. Sono la semplice espressione di una fantasia piacevole che, per il solo fatto di esser tale, si trasforma in una realtà allucinata.
Solo più tardi subentra l’utilità secondaria del mentire, dettata soprattutto dai sensi di colpa o dalla paura di essere punito per aver mancato agli ordini dei genitori. Così il bambino imparerà a dire “non ho mangiato la caramella” pur avendolo fatto.
Ad ogni modo, la bugia si configura come luogo privilegiato del desiderio e della sua difesa. Con il passare degli anni, aumentano le possibilità di risultare convincenti, ma le dinamiche rimangono pressappoco le stesse.
Si mente per sfuggire a una responsabilità, a un rimprovero, al biasimo altrui o per mille altre ragioni, ma essenzialmente si mente per conservare un margine di libertà, in cui ci sia consentito fare quello che desideriamo senza che ciò diventi motivo di rammarico.
Prendiamo il caso, forse più frequente, delle bugie dette in amore, generalmente collegate a un tradimento. Colui che tradisce mente per salvaguardare, anche se a danni altrui, la propria intimità. Se il partner istituzionale venisse a sapere della relazione extraconiugale, quello che al momento è un piacere si trasformerebbe in un inferno. Per contro, anche il tradito mente a se stesso, ostinandosi a non voler vedere i segni inequivocabili del tradimento che – credetemi – ci sono sempre.
Perché? Che piacere ne trae? Quello di poter continuare a sognare e fantasticare un’unione ancora armoniosa e funzionante. In entrambi i casi la felicità è altrove, nello spazio di una bugia. Freud sosteneva che la vita è un’esperienza troppo dolorosa per essere presa così com’è.
Abbiamo bisogno di inventarci degli spazi incondizionati per la fantasia, dove il principio del piacere abbia ancora la sua indiscussa superiorità. Questi spazi sono quelli del sogno, degli atti mancati, dell’immaginazione, insomma tutte quelle situazioni in cui l’inconscio può prendere il sopravvento e guidarci verso ciò che desideriamo realmente.
Si tratta per lo più di stati alterati di coscienza, in cui la razionalità e il buon senso non trovano ospitalità. Da questo punto di vista, la bugia è una condizione di consapevole difesa dell’inconscio: lo strumento attraverso cui l’uomo riesce a vivere in una realtà propria, conciliandola però con la quotidianità delle sue responsabilità.
Potremmo definirla pertanto una situazione di compromesso, il guardiano della nostra libertà e, forse, l’unico mezzo che abbiamo per renderci piacevole la vita.
Resta poi da discutere perché anche un bugiardo professionista non può fare a meno di disseminare sul proprio cammino degli indizi che potrebbero smascherarlo. Perché, se è una difesa, risulta poi così manchevole nei suoi intenti dissimulatori?
Torniamo all’esempio del tradimento. È evidente che colui che tradisce ha trovato altrove la soddisfazione dei propri desideri e, nel tentativo di salvaguardarli, fa di tutto per tenerli nascosti. Ma poi, a un certo punto, si crea una spaccatura inevitabile tra il visibile e l’invisibile, tra quello che realmente si vuole e la facciata di convenienza che si è costretti a mantenere.
Il desiderio, si sa, è destabilizzante, travolgente, esclusivo. Difficilmente ammette compromessi, perché – comprensibilmente – quando si crede di aver trovato la felicità non ci si vorrebbe più limitare in alcun modo.
Così, contro ogni ragionevole norma di buon senso e inconsapevolmente alla lucida coscienza, che ci suggerisce solo quanto è più opportuno fare, ma non quanto è più piacevole, cominciamo a perdere colpi e a lasciar tracce inconfutabili del tradimento. Semplicemente l’inconscio vuole che l’inganno sia smascherato, perché aspira alla luce del sole, al tutto o nulla, all’incondizionato e all’assoluto.
Purtroppo però, nello scontro con la realtà, le emozioni sono sempre le prime a rimetterci.
Prefazione di Aldo Carotenuto al libro La seduzione delle bugie