Un poeta per la Giornata Mondiale della Poesia

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Volendo fare un paragone tra un poeta italiano e il poeta israeliano Yehuda Amichai, così da avvicinarlo al pubblico dei lettori italiani, suggerirei il nome di Eugenio Montale, straordinario vincitore di un premio Nobel.

Numerosi elementi contraddistinguono la sua poesia, improntata ad uno stile e ad un carattere peculiari in grado di influenzare intere generazioni di poeti. Nel quadro di questa breve introduzione evidenzierò cinque di questi elementi, a mio avviso particolarmente rilevanti.

Innanzi tutto occorre sottolineare come la lirica di Amichai sia ad altezza d’uomo, caratterizzata da un’espressione diretta, sostenuta dalla fede che gli esseri umani sono in grado di capirsi anche quando non credono nella possibilità di un legame tra loro e le parole, a dispetto di doppi sensi e di diverse possibilità di interpretazione, fluiscono in scioltezza.

In secondo luogo non vi è aspetto della realtà che non sia degno di essere trattato in poesia. Non esistono temi nobili o vili e non si deve temere l’uso di metafore triviali o banali né di collegarle direttamente ad una sfera metafisica, a quella dei sentimenti o a concetti astratti, elevati o addirittura sacri.

E’ il caso di ricordare il più classico dei versi di Amichai:

«Dio è coricato supino sotto il mondo

Sempre impegnato in riparazioni, sempre qualcosa si guasta

Avrei voluto vederlo per intero ma vedo

Solo la suola delle sue scarpe e piango».

Questa metafora non intende essere provocatoria, sconcertante o suscitare sgomento nel lettore borghese, né tanto meno mancare di rispetto verso Dio. Tutt’altro. È un tentativo palese di avvicinarlo agli uomini, di risvegliare nei confronti del Creatore la stessa benevolenza e simpatia che si possono provare per un meccanico steso su una lurida piattaforma di cemento, con le mani unte di olio e di grasso, che si ostina a girare un bullone cocciuto nel tentativo di riparare metaforicamente questo nostro mondo del quale gli esseri umani talvolta abusano, così come si può fare con un’auto presa a nolo.

Haim Guri, uno dei maggiori poeti della generazione antecedente a quella di Amichai, disse a suo riguardo:

Quando lessi in una poesia: “Il tuo viso amato era illuminato dalla luce della porta aperta del frigo” capii che era sopraggiunta una nuova generazione di poeti giacché mai, né a me, né ai colleghi miei coetanei, era passato per la mente che si potesse parlare del viso dell’amata infilato tra polpette di carne e insalate di pomodori.

Il terzo elemento caratteristico della poesia di Amichai è il legame profondo con gli scritti della tradizione religiosa ebraica e la sua capacità di integrarli in differenti registri poetici.

In qualità di ateo dal forte retroterra religioso Amichai ha arricchito la sua opera con riferimenti linguistici biblici e talmudici. Così come il meccanico ha rappresentato una buona metafora per comprendere il rapporto tra Dio e il mondo, l’interpretazione cabalistica lo ha aiutato a capire meglio come si sentano i pompieri durante il loro lavoro o una cuoca accanto ai fornelli.

Il quarto elemento è rappresentato dalla posizione politico-umanitaria di Amichai. Shimon Peres, uno degli artefici degli accordi di pace di Oslo, ebbe occasione di affermare che la lirica di questo poeta ha predisposto i cuori degli israeliani alla pace e alle concessioni ai palestinesi. Non a caso il defunto Yitzhak Rabin lesse una sua poesia durante la cerimonia di conferimento del premio Nobel per la pace.

Poesia di AmichaiAmichai è un poeta dalla coscienza liberale e conciliante che persegue la pace e il compromesso senza scadere in slogan o in dichiarazioni vuote. La sua espressione politica non colpisce mai l’avversario come un martello e, sebbene tenace e coerente, mantiene toni sommessi, avvicinando l’ascoltatore al suo punto di vista grazie ai valori fondamentali dell’amicizia, dell’amore, del compromesso e soprattutto dell’odio per la guerra.

«Voglio morire nel mio letto», dice il soldato esausto di una sua poesia, malgrado stia combattendo una guerra giusta.

Il quinto elemento è il legame con Gerusalemme e con la coscienza di questa città che lui non si stanca di esplorare. Non vi è luogo al mondo che si presti a figurare meglio nella sua lirica e che vi ha lasciato un’impronta tanto forte.

Gerusalemme ha alimentato le similitudini di cui fa uso il poeta, ha ispirato i suoi paradossi sagaci, ha dato, grazie alle diverse culture e religioni che la popolano, quel tocco di vivacità incantevole che orna i suoi versi e le sue strofe. Benché spesso definita «città della pace» racchiude una realtà complessa, problematica e piena di contrasti. È costantemente al centro di conflitti nazionali e religiosi e in questi giorni rappresenta l’ultimo ostacolo al raggiungimento di un accordo di pace definitivo nella terra di Israele. Tuttavia nella poesia di Amichai questa città si trasforma in un luogo amato, con il quale ci si riconcilia e in cui i numerosi pazzi, gli estremisti e gli altri inverosimili personaggi che vi si aggirano acquistano un volto più umano.

A Gerusalemme, dove sono nato e cresciuto, ho conosciuto Yehuda Amichai alla fine degli anni cinquanta. A quel tempo la città era divisa e il suo cuore era trafitto dai confini dell’odio e della guerra. Io ero studente all’università ebraica e avevo appena pubblicato i miei primi racconti.

In quel periodo scoprii la poesia di Amichai che mi toccò nel profondo e diede voce ai miei sentimenti. Adottai subito alcuni suoi versi come motto per uno dei miei primi racconti. Malgrado l’illustre poeta fosse maggiore di me di tredici anni non rifiutò l’amicizia che gli offrivo. Con semplicità e naturalezza mi fece sentire come se mi trovassi in compagnia di un coetaneo. Giacché non possedeva un’auto e non imparò mai a guidare ero solito farlo salire sulla mia Lambretta italiana e scorrazzare con lui per Gerusalemme e dintorni. A quel tempo si viaggiava ancora senza casco e la fiducia che riponeva nella mia abilità di motociclista rappresenta per me, a tuttologi, solo uno dei suoi innumerevoli pregi.

Abraham B. Yehoshua