Gatti, torte e paesaggi sono i soggetti principali delle foto pubblicate sui social. Ma se non tutti sono provetti pasticcieri, o hanno la possibilità di visitare posti esotici, il gatto – lui – sembrano avercelo proprio tutti, tutti ne conoscono uno, o ne condividono immagini o disegni.
Facebook, Instagram e blog traboccano di foto di gatti che mangiano, dormono, giocano, guardano la televisione, posano stupiti ed annoiati insieme ai padroni, leggono…
Sì, leggono. Una nuova mania che ha contagiato i social è quella di fotografare i gatti insieme ai propri libri. Le situazioni sono infinite: seduti su una pila, comodamente sdraiati sugli scaffali, appisolati tra le pagine, assorti nell’ascolto della lettura o incuriositi dalle mille possibilità di gioco ad essi associate.
Le foto sono sempre accompagnate da didascalie divertenti che ne somatizzano gli atteggiamenti e s’interrogano sul perché di questo binomio. C’è persino chi consulta l’esperto per capire perché il proprio gatto si piazza sul libro aperto non appena viene abbandonato dal lettore: pare sia una questione di territorio e di legame con il proprio padrone.
Ma a noi piace pensare che al gatto piaccia la lettura, che anche lui – da animale intelligente e raffinato qual è – condivida con noi il piacere di sentire le pagine sotto le sensibili vibrisse, goda nell’annusare il profumo della carta e scorra veloce le righe con i suoi occhietti vispi, ansioso di sapere come andrà a finire.
Del resto, anche il legame tra gatti e scrittori non è da meno. Ernest Hemingway, Pablo Neruda, Charles Baudelaire, Jack Kerouac erano tutti amanti dei gatti. Aldous Huxley li riteneva addirittura un accessorio essenziale del corredo di uno scrittore: “Se volete scrivere, fatevi un gatto,” diceva ai suoi studenti.
E qualcuno li ha trasformati anche in narratori. Guido Nicosia, ambasciatore a riposo che ha raccontato in romanzi leggeri ma non banali le proprie esperienze all’estero, ne ha fatto la voce fuori campo che descrive il mondo degli uomini in base alla conoscenza che essi ne hanno, fatta di cibo e coccole, e ne condivide idee frustrazioni e delusioni.
Ne I gatti dell’Ambasciatore, il gatto Shiro racconta la sua infanzia nella natura rigogliosa del Madagascar e i suoi esotici aromi, viziato dall’Ambasciatore, che lui vede più che altro come il rappresentante della cucina italiana.
Nel suo seguito ideale – I gatti di via Ulpiano – Shiro e la sua famiglia tornano in Italia: il gatto diventa così il mezzo per esprimere tutto il disagio e la delusione del suo padrone, vissuto troppo a lungo in una condizione ideale, lontana dalla realtà e incapace di comprenderne i meccanismi che ne hanno determinato il cambiamento.
Con un linguaggio volutamente näif, Shiro ci racconta le sue avventure nel giardino dell’Ambasciata, tra testuggini e camaleonti, ma anche le lunghe chiacchierate sulla politica e la cultura del Paese, le gustose cene ufficiali a base di buon vino e ricette nostrane, i pettegolezzi sulla vita quotidiana dell’Ambasciata, i battibecchi tra i diplomatici, gli sfoghi amari e le battute pungenti sul decadimento della cultura e dei valori del nostro Paese.
Certo, Nicosia non è propriamente originale nella scelta di questo espediente letterario, ma il gatto Shiro funziona, e non solo tra gli amanti dei gatti. Il suo vocabolario essenziale, “olfattivo”, tutto riferito a cibo ed escrementi, fa scendere il mondo della politica e della diplomazia a un livello che non è basso, in senso dispregiativo, ma piuttosto “minimalista”, ridotto all’osso, dando così la giusta prospettiva a tematiche ed eventi che spesso vogliono sembrare più complessi di quanto in realtà non siano.
Ce lo immaginiamo, il nostro Shiro, come quel gatto apparso sul profilo Instagram di BBC nel National Pet Day che i britannici hanno festeggiato il 12 aprile scorso: il muso appuntito e curioso infilato nella fessura di uno steccato, i baffi dritti e gli occhi attenti, pronto a captare tutto che ciò che gli accade intorno e a reinterpretarlo a misura propria. Una goduria per qualsiasi gattofilo, proprio come la lettura di questi due romanzi, godibili, frivoli quanto basta ma anche acuti e ragionati.