Alzi la mano chi riesce a ricordare – e a rispiegare – i meccanismi dei giochi in borsa di Dan Aykroyd e Eddy Murphy in Una poltrona per due. Con i film che parlano di economia succede sempre così: ci sembra tutto chiaro, mentre accade, ma poi quando la vicenda si conclude, quelle poche precarie conoscenze si azzerano e tutto torna confuso.
Certo, nella maggior parte dei casi i giochi dell’economia servono solo a trainare la storia, a creare un po’ di suspense, ma dimenticarseli nulla toglie all’effetto finale.
A volte, però, il tema economico-finanziario viene approfondito, e argomenti che risultano ostici ai più diventano più chiari e fruibili. Per questo un Comitato di educazione finanziaria istituito dai Ministeri dell’Economia e dell’Istruzione per sensibilizzare il grande pubblico su economia e finanza, ha scelto spesso proprio il cinema come mezzo per divulgare la conoscenza di queste materie. Troppo complesse per essere capite da tutti forse, ma con ricadute immediate e spesso drammatiche su occupazione, risparmi, prestiti, ovvero sulla nostra realtà di tutti i giorni.
L’alta finanza, la borsa, l’economia globale sono protagoniste di diverse pellicole, che hanno guardato da angolazioni diverse i meccanismi e le astuzie di questo mondo familiarizzandoci con il suo linguaggio: Wall Street, che mette in scena il conflitto tra avidità ed etica e ci ha svelato i segreti dell’inside trading; Una donna in carriera, spaccato sulle fusioni e le acquisizioni che andavano tanto di moda negli anni ’80; The Wolf of Wall Street, che mostra l’anima corrotta dell’alta finanza strettamente legata alla crisi del 2008; La grande scommessa, che si concentra sulle speculazioni nel mercato immobiliare attraverso i famigerati mutui sub-prime; Too big to fail, che racconta la relazione tra politica ed economia nella vicenda del colosso finanziario Lehman Brothers.
Proprio il fallimento della grande banca americana è uno degli eventi che più hanno colpito la fantasia di autori e sceneggiatori: le foto dei suoi impiegati che lasciano gli uffici con gli scatoloni in mano sono già di per sé “spettacolari”, una “rappresentazione” fisica della crisi che nessuno – analisti, Premi Nobel, frattali -aveva saputo prevedere.
Dopo il cinema, questo momento nero della storia economica americana è diventato anche uno spettacolo teatrale. Il testo è di un italiano, Stefano Massini. E dopo Milano e Parigi, la Lehman Trilogy – questo il titolo della pièce – è finalmente sbarcata nella sua location naturale, New York, dove Lehman Brothers è nata e dove si è consumata la tragedia della sua fine.
Alla rappresentazione newyorkese ha assistito anche il capo dell’ufficio legale di allora, Thomas Russo, che in un’intervista al New York Times ha ricordato il Consiglio d’Amministrazione in cui è stata annunciata la bancarotta. “Quella mattina ci avevano che detto che saremmo stati salvati,” ricorda. Poi l’annuncio shock: lo Stato lascerà fallire Lehman Brothers per dare un segnale di forza, per dimostrare che la finanza deve pagare per la propria spudoratezza, che nessuno – come dice il film – “è troppo grande per fallire”.
Il teatro sembra più clemente del cinema – e forse questo testo non serve un granché a chi vuole imparare qualcosa di economia. Ci risparmia molti tecnicismi per concentrarsi sulla storia della famiglia Lehman, dalle umili origini dei fondatori all’implosione della loro creatura attraverso un tema portante: l’accumulo di denaro. È una storia semplice, che alla fine lascia allo spettatore una strana sensazione di aspirazione, energia, tenacia, audacia. Che non educa ma intrattiene.