Premio Nobel a Giorgio Parisi

Di cosa parliamo quando parliamo di ricerca. Giorgio Parisi si racconta

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Chi ha avuto il piacere di incontrare Giorgio Parisi è rimasto colpito dalla sua capacità di raccontare un concetto scientifico con assoluta chiarezza, senza mai snaturarlo con esempi che lo trasporterebbero sulle sponde instabili della metafora.

Anche nella divulgazione Parisi rende l’ascoltatore partecipe del modo di discutere teorie e modelli che gli stessi fisici usano durante un informale coffee-break. Più che per questioni di stretta genealogia, che passa per un grande nome come Nicola Cabibbo, è questa chiarezza che spiana ogni inutile complicazione a legarlo alla grande tradizione di Enrico Fermi e della scuola romana.

In occasione del conferimento del premio Nobel (buon ultimo dopo le prestigiose medaglie Boltzmann e Dirac, il premio Fermi e il Nonino, solo per citarne alcuni), Di Renzo Editore ripropone in nuova edizione questo prezioso libretto La chiave, la luce e l’ubriaco, l’unico in italiano e non tecnico di Giorgio Parisi, nato da una lunga conversazione con l’editore Sante Di Renzo e testimonianza brillante di una visione della fisica senza inutile retorica.

Il titolo riprende la famosa storiella dell’ubriaco che ha perso la chiave di casa da qualche parte ma la cerca sotto il lampione perché lì c’è luce. Il che vuol dire che l’attività del fisico teorico non consiste nel produrre mondi astratti seguendo i propri furori creativi, ma comincia con un problema e una cassetta degli attrezzi sperimentali e matematici.

Ed una storia, che è quella della propria formazione, dello status del problema all’interno della comunità scientifica e quello che si ha a disposizione per affrontarlo. Si tratta di una raffinatissima forma di artigianato che si muove tra vincoli e possibilità, e che per il fisico teorico diventa la capacità di trasformare il problema in un problema “ben posto”, descritto da un formalismo matematico in grado di enuclearne gli aspetti essenziali.: “Abbiamo bisogno di concetti leggeri per poterli manovrare agevolmente”. È il caso dei vetri di spin, che tra i tanti contributi dati da Parisi alla fisica è quello di cui si parla di più in questi giorni.

Si tratta di un sistema di magneti con interazioni “frustrate”, in cui le interazioni tra componenti sono distribuite casualmente (le freccette dei magneti sono orientate ciascuna in una direzione diversa) e permeate da rumore.

Il gioco collettivo di attrazione-repulsione innesca dinamiche complesse e porta ad un numero enorme di configurazioni metastabili il cui scenario generale è stato chiarito da Parisi con lavori matematici estremamente raffinati ed efficaci.

Il campo di applicazione è vastissimo, e va dalle reti neurali al folding delle proteine fino ai mercati finanziari. Come spesso accade, comportamenti collettivi di sistemi molto diversi possono condividere una sotterranea trama matematica. “In simili casi” – dice Parisi – “il punto di vista riduzionista tradizionale sembra non portare da alcuna parte, ma anche il punto di vista opposto, in cui si trascura la natura delle interazioni fra i costituenti, sembra essere inutile, in quanto la natura dei costituenti è cruciale per determinare il loro comportamento globale”.

Ecco in poche righe smontato il fiume di retorica che oppone riduzionisti e sistemici! In un mondo in cui la divulgazione sembra occuparsi soltanto dell’infinitamente piccolo/grande, si rischia di trascurare la ricchezza e il fascino della “terra di mezzo”, quella della complessità che ci circonda e che è piena di sfide forse facili da comprendere- per intenderci senza “misteri ontologici”- ma concretamente molto difficili da affrontare, problemi che fanno resistenza e che richiedono la collaborazione piena tra lo sperimentale e il teorico , in particolare su quella particolare vita algoritmica di un modello che è  la simulazione, necessaria per esplorare sistemi con un numero altissimo di stati.

Assieme a Cabibbo, Parisi è stato infatti protagonista negli anni ’80 delle avvincenti stagioni di APE (Array Processor Experiments), il supercomputer “made in Frascati” per lo studio delle interazioni subnucleari tra gluoni e quark. E infine l’annosa questione della bellezza delle teorie.

È un criterio che ci si può porre sin dall’inizio? E in cosa consiste? Sembra difficile darne una definizione strutturale a priori (in ogni campo in cui parliamo di bellezza), è piuttosto ciò che emerge da una “mossa efficace” nel campo delle possibilità di approccio ad un problema, e la riconosciamo soltanto dopo.

Per me l’elemento più importante è l’esistenza di un certo formalismo, uno schema di ragionamento, all’interno del quale si possano trasferire i fatti teorici, Il formalismo ha quasi una sua vita propria: ci si può affidare al formalismo e farsi guidare”. Come fa la musica con il ballerino nelle danze greche tanto amate da Giorgio.

Recensione di Ignazio Licata a Giorgio Parisi, La chiave, la luce e l’ubriaco, Di Renzo Editore