Se fosse stato Giordano Bruno a ispirare i Rosacroce?

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Un filosofo, un mago, un alchimista. Ma anche un pericoloso eretico, un ciarlatano, un plagiatore. La fama che ancora oggi circonda Giordano Bruno (1548-1600) oscilla fra luci e ombre, fra misteri e congetture, fra il genio idealistico e la condanna da parte dell’Inquisizione. Le sue opere, tanto complesse quanto di difficile interpretazione, non sempre giovano a comprendere la figura di questo frate domenicano, nato da oscura famiglia nolana.

Così come non aiutano la vasta messe di testimonianze dei suoi contemporanei, equamente divise fra sostenitori e detrattori. Alcuni punti fermi però ci sono. La straordinaria cultura, la prodigiosa memoria, la smania (non disgiunta da un po’ di timore) con cui era conteso dai più grandi regnanti d’Europa. Perennemente in viaggio fra Italia e Inghilterra, Parigi e Praga, Giordano Bruno entra in contatto con buona parte dei personaggi più influenti, a livello culturale e politico, del tempo. Nel frattempo misura il suo pensiero con Aristotele e Platone, con la teologia tomistica e la cabbala, con le arti mnemotecniche e la magia.

Prende corpo, nelle tante pubblicazioni (in parte in italiano, in parte in latino), la sua concezione filosofica, basata sull’infinitezza di Dio, sulla identità fra Dio e Natura, e sull’unità di pensiero e materia. La filosofia del frate di Nola non è però una disciplina scolastica. Bruno ambisce a creare un sistema di pensiero che sia vita e si realizzi nell’infinito del mondo immanente.

È ancora una volta l’occasione di un viaggio a dar vita a una delle opere più straordinarie del frate nolano. Nel 1591 Bruno si reca nei pressi di Zurigo, ospite nel castello di Heinrich Hainzel e Raphael Egli. Questi personaggi, noti per le loro passioni magico-alchemiche, lo ingaggiano per impartire loro una serie di «lezioni private». Raphael Egli (che di lì ad alcuni anni sarebbe poi entrato nella confraternita dei Rosacroce) con diligenza annota le parole di Bruno.

Quattro anni dopo darà alle stampe la Summa terminorum metaphysicorum. Breve compendio di terminologia teologica, quest’operetta viene ora per la prima volta tradotta in italiano col titolo di Somma dei termini metafisici. In essa Bruno, con virtuosismo, seziona il vocabolario usato da Aristotele. Quindi smonta le vetuste teorie del pensatore greco dall’interno, usando le sue stesse parole. Alla fine l’immagine del Dio di Bruno appare molto distante da quella dello Stagirita: Egli è relazione, «sostanza universale, essenza fonte di ogni essenza; è dappertutto in quanto dappertutto c’è qualcosa».

Il curatore, Guido del Giudice, nell’ampio saggio introduttivo, aggiunge poi un altro elemento. Attraverso indizi deduttivi avanza l’affascinante proposta che l’inconsapevole ispiratore dei nascenti Rosacroce sia stato lo stesso Giordano Bruno in occasione del suo soggiorno a Zurigo.

Di li a pochi anni il Nolano sarebbe giunto a Campo dei Fiori. Non uomo del dubbio, come vulgata ha tramandato. Piuttosto individuo dalle certezze così salde da non aver paura di portare il confronto alle estreme conseguenze, trasfigurando la filosofia in vita. E pagando con la morte il suo non avere dubbi.

(Il Giornale)