L’uomo è l’animale più presuntuoso del Creato. Chi ricorda questa radicale affermazione dello zoologo, etnologo inglese Desmond Morris sul finire degli anni Cinquanta, ha anche ben presente lo scalpore e insieme il successo del suo libro intitolato La scimmia nuda (1960) che divenne un bestseller di divulgazione scientifica tradotto in tutte le lingue.
Già allora personaggio atipico, con un passato da sociologo e pittore, il professor Morris si dilettava nell’osservazione scientifica dell’animale uomo, alla stregua di qualsiasi altro essere vivente. Fu sua invenzione anche il metodo man-watching, la versione umana del bird-watching, ossia l’osservazione in ambiente naturale dei comportamenti e delle attitudini umane.
E sempre sua l’iniziativa di portare il primo studio televisivo (della Bbc) in uno zoo (quello di Londra). Oggi, da anziano scienziato, torna a parlarci dell’uomo, o “scimmia senza peli” (e quindi “nuda”), in un prezioso libro frutto di un lungo dialogo con la romana Di Renzo Editore: Linguaggio muto. L’uomo e gli altri animali.
In queste pagine Morris torna sui temi a lui più cari ma li arricchisce con un’interessante riflessione autobiografica, raccontando i punti salienti della sua vita, i traumi infantili che lo hanno segnato, le comiche disavventure di etnologo alle prime armi, alle prese con serpenti velenosi e pipistrelli impazziti.
Scrive alla fine del suo primo breve capitolo:
«In questo modo, e per sommi capi, è trascorsa la mia infanzia: all’insegna di un amore sconfinato per gli animali, dai quali sentivo di aver molto da imparare, e di un’altrettanto sconfinata repulsione per il mondo umano e per le sue orribili macchine da guerra, dalle quali, invece, non volevo imparare nulla».
Desmond Morris iniziò i suoi studi approfonditi sulle scimmie lavorando allo zoo di Londra, e riuscì a coinvolgere nelle osservazioni scientifiche anche la sua grande passione per la pittura. In particolare, dedicò l’attenzione a uno scimpanzé molto intelligente di nome Congo, capace di realizzare disegni astratti usando anche i colori, dimostrando che la scimmia operava secondo gli stessi principi dell’arte umana.
Tale fu l’interesse suscitato da questo accostamento tra l’arte e il mondo biologico che pittori come Dalì e Picasso vollero esaminare l’opera del primate e Mirò si disse disposto a barattare un suo disegno con quelli di Congo.
Ma più di tutto, anche in questo piccolo saggio è l’animale-uomo a farla da padrone. Il noto etologo umano o, se si preferisce, zoologo metropolitano, si concentra sul genere umano confrontando i suoi comportamenti con quelli delle cugine scimmie antropomorfe.
L’obiettivo è capire, con le dovute dimostrazioni scientifiche, cosa ci accomuna agli scimpanzé e cosa ci differenzia da questi. Morris passa in esame il significato dei nostri gesti, del nostro modo di vestire, del tifo calcistico inteso come uccisione rituale della grande preda, della superstizione, del legame madre-figlio, dei contrasti tra generazioni e della differenza tra i sessi, nonché la progressiva perdita del contatto fisico in favore di altre forme di comunicazione.
Questi sono alcuni degli aspetti vivisezionati dalla lente dello zoologo inglese ed esposti in questo volumetto di sintesi con la chiarezza e la semplicità che caratterizzano tutta la sua opera.
Difficilmente attratto dall’insolito, la sua più grande e riconosciuta qualità è proprio quella di rendere straordinariamente interessante il “normale”. Parlando degli aspetti tribali delle tifoserie del calcio, ci dimostra il contenuto primitivo delle partite di pallone, in cui
«ogni settimana i tifosi uccidono una grande preda e il momento dell’uccisione è rappresentato dal goal. Quando la palla colpisce la rete, è come se la tribù avesse ucciso un temibile animale e tutti allora possono festeggiare l’avvenimento».
E sui contrasti generazionali, Morris osserva che
«i giovani di oggi, vestiti in modo così trasgressivo, diventeranno inevitabilmente gli ottusi tradizionalisti di domani e, a loro volta, resteranno inorriditi dalla nuova ondata che li seguirà».
Le stesse dinamiche si ripetono da migliaia di anni senza che nessuno se ne chieda la ragione perché siamo abituati ad accettare passivamente forme del vivere quotidiano che sembrano estremamente semplici ma che, invece, celano aspetti straordinari del comportamento evolutivo ed influenze che risalgono a secoli addietro.
Questo sbalorditivo dialogo sulle differenze e i significati di tanti nostri gesti e abitudini quotidiane è un monito a guardarci più intorno, per riflettere e scoprire che c’è sempre del sensazionale dietro all’apparente normalità di tutti i giorni.