Ricettario

I ricettari, la cultura che stimola l’appetito

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Non bisogna essere troppo perspicaci per comprendere la rivoluzione portata in tavola dall’arrivo della patata e del pomodoro, dall’invenzione della fruste elettriche o dalla nascita dei ristoranti dopo la rivoluzione francese.

Come tanti aspetti della nostra cultura, infatti, anche il modo di cucinare è molto cambiato nel tempo: l’arrivo di ingredienti esotici, l’invenzione di nuove tecnologie, l’ampliamento del pubblico interessato, sono tutti aspetti che hanno portato l’arte culinaria fino alle vette che conosciamo oggi.

Una rivoluzione che si riflette anche nei ricettari, trasformatisi nel tempo da raccolte frettolose di poche e confuse ricette a veri e propri testi di riferimento con illustrazioni e fotografie, spesso dallo stile inconfondibile.

Gli antichi ricettari

Rispetto al passato, solo struttura (ovvero una sequela di ricette) e il linguaggio (prettamente tecnico) sono rimasti invariati, anche se la nostra epoca è riuscita a fare un upgrade anche in questo. Oggi è possibile trovare ricette anche nei romanzi o nei racconti di viaggio, insomma in generi diversi dai libri di cucina. Come dimenticare i meravigliosi manicaretti di Tita in Come l’acqua per il cioccolato o le istruzioni dettagliate buttate qua e là, tra un figlio e un tradimento, da Nora Ephron in Affari di cuore?

Senza dimenticare che oggi, ormai, internet e televisione hanno il dominio pressoché assoluto di questo campo, e l’editoria che si occupa di cucina deve per forza di cose fare i conti con le celebrità del video.

I ricettari del passato sono quindi così lontani da noi da risultare difficili da seguire e assai poco accattivanti. Eppure, se da un lato possono essere considerati una forma “datata”, dall’altro sono l’ennesimo mezzo di conservazione di un aspetto della nostra storia – quella passata a tavola – che sarebbe andato altrimenti perduto. Senza considerare che questi volumi, al pari di altri testi antichi, sono stati un veicolo di diffusione delle lingue moderne e restano una testimonianza importante di stile comunicativo.

Grazie a un antico ricettario, ad esempio, conosciamo l’influenza della cucina orientale nel Medioevo, ai tempi delle Crociate, e abbiamo al tempo stesso una brillante testimonianza della fase intermedia del tedesco prima che Lutero ne fissasse le norme con la sua traduzione della Bibbia. I ricettari sono infatti tra i primi testi, insieme alla didattica religiosa, a essere scritti in lingua volgare.

Alcuni ricettari del ’400 includono, accanto a ingredienti e procedimenti, anche indicazioni di carattere medico e nutrizionale, mentre nel secolo successivo, grazie alla vivace e originale manualistica rinascimentale, la cucina italiana assurgerà a quella fama che detiene ancora oggi – e che sta riconquistando guadagnando terreno su quella francese.

Il genio di Pellegrino Artusi

Ma sarà nell’Ottocento che, almeno da noi, la letteratura gastronomica conoscerà il suo apice: quando Pellegrino Artusi inventerà quello stile neutro, confidenziale, ricco di gradevoli toscanismi, per spiegare quasi 800 ricette in modo chiaro, ironico ma anche didattico, consentendo a tutti di poterle replicare.

Come altri suoi colleghi, in opere di assai maggior valore letterario, Artusi scrive un libro di ricette regionali per un’Italia da poco unita, tenendo conto di tutte le diversità e influenze culturali che ne avevano caratterizzato la storia.

Applicando alla cucina il metodo scientifico di cui era convinto fautore, Artusi instaurò la regola di provare tutte le ricette prima di pubblicarle, e creò – come ha scritto l’Accademia della Crusca – “una lingua fluida, elegante e armoniosa, […] un modello di lingua fiorentina fresca e viva, ma insieme corretta e controllata”. 

Foto di Kai Reschke da Pixabay