Perché si dicono bugie?

Perché le persone mentono?

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A chi di voi non è mai capitato di dire bugie? Mentiamo in continuazione: a muoverci è la paura, un tentativo di difesa o l’esigenza di liquidare in fretta qualcuno, evitando di dare troppe spiegazioni.

Ma occorre saper leggere tra le bugie e domandarsi perché le persone mentono?

Un quesito così semplice presupporrebbe un esito altrettanto scontato. Eppure non è così. Le motivazioni che spingono alla menzogna possono essere tra le più diverse e tuttavia, l’evidenza ci suggerisce che la maggior parte di noi condivide gli stessi motivi per dire bugie.

Lo ha dichiarato Paul Ekman – noto psicologo statunitense, annoverato dal Times tra le cento persone più influenti del mondo –  che, per merito delle sue ricerche scientifiche, è considerato un pioniere nello studio dei movimenti del corpo, delle emozioni e delle micro espressioni facciali a esse correlate. Dopo oltre cinquant’anni di studi e numerose collaborazioni con enti governativi nazionali ed esteri, il dottor Ekman ha elaborato un sistema formativo di strumenti analitici – il Facial Action Coding System (FACS) – per classificare ogni espressione del viso umano e creare così una guida utile alla lettura completa delle emozioni nascoste.

Dati alla mano

“I numeri non mentono” ammette Ekman. “I dati raccolti durante le mie interviste con i bambini e gli stessi questionari compilati dagli adulti riportano la menzogna ad alcune motivazioni principali – nove per la precisione – che valgono generalmente per tutti e che possono rivelarsi utili nella comprensione della dinamica alla base della finzione”.

Si mente per sfuggire alla punizione. Che si tratti di adulti o bambini, di un errore in buona fede o di un misfatto intenzionale, questa è la motivazione cui si fa ricorso più frequentemente per dire bugie.

Possiamo poi voler mentire per ottenere una ricompensa di non facile conquista o per proteggere un’altra persona – collega, amico, familiare, talvolta persino un estraneo – dal castigo. O ancora per guadagnare l’ammirazione altrui, con l’obiettivo di ingrossare la nostra popolarità raccontando piccole bugie bianche a dare colore, piuttosto che fabbricando ex novo un personaggio completamente costruito.

Mentiamo per tutelarci dalla minaccia di un eventuale danno fisico. E qui non c’è colpa. Il bambino da solo in casa che mente a uno sconosciuto sulla porta, dichiarando la presenza del genitore che invece non c’è, lo fa per autodifesa.

Diciamo bugie per uscire dall’imbarazzo o per evitare di caderci. Se una conversazione telefonica ci sta annoiando, inventiamo qualcuno al citofono; se il bambino ha bagnato i pantaloni, sosterrà che la sedia è umida per via dell’acqua che si è rovesciata.

Si mente per il desiderio di mantenere la propria privacy, senza però informare gli altri di tale intenzione: lo sto facendo se dico di non volermi sposare perché non sono nella condizione di sostenere i costi di un matrimonio, quando in realtà mi sto solo liberando dall’obbligo di invitare la mia famiglia.

In ultimo la motivazione più pericolosa, quella che si nutre della cupa ambizione di esercitare un certo potere sugli altri, manipolando e controllando le informazioni in relazione al nostro obiettivo.

Naturalmente si tratta di uno studio di massima e la casistica è molto più varia. Conclude Ekman: “Sospetto che dietro la menzogna ci siano delle ragioni che non rientrano nella suddetta semplificazione. Parlo delle menzogne cosiddette a fin di bene, raccontate per tatto o gentilezza, inganni banali che difficilmente possono riassumersi in poche categorie”.

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