Cosa vuol dire essere diplomatici

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La parola diplomazia viene dal greco “diploos”, che voleva dire diploma. Nasce dal fatto che, per provare di essere stati legittimati dal proprio sovrano a trattare in suo nome, gli ambasciatori dovevano esibire questo foglio, piegato in due, che ne attestava l’autorità regale.

Si dice anche, da tempo immemore, “ambasciator non porta pena”, perché non sono stati rari i casi in cui all’ambasciatore che portava brutte notizie venisse tagliata la testa.

La diplomazia è mestiere antico, che richiedeva capacità retorica, arte nel mentire e nel dissimulare, e abilità nel compromesso. Saper dire era essenziale, ma saper dire senza dire era scienza per pochi.

Oggi la diplomazia non ha più niente a che fare con l’arte oratoria dell’antica Grecia. È più che altro economia – economia degli scambi, degli investimenti, dei profitti – e politica, intesa come costituzione e consolidamento di “feudi” di potere.

Come ogni cosa che abbia a che fare col potere, la diplomazia è una piramide, dove si sale e si scende a seconda di quante e quali persone si riesce ad accontentare.

È mestiere da equilibristi.

Guido Nicosia, ambasciatore ora in pensione, ha cominciato la carriera diplomatica senza reale intenzione, ma l’ha poi condotta con grande dedizione. Del suo lavoro, ha amato – più d’ogni cosa – l’aspetto culturale e antropologico: lo sguardo attento dell’etnologo sulle cose, le persone e sul mondo.

Attraverso le pagine delle sue memorie – Diplomatico per caso – tessute in forma di diario di bordo, come un viaggio durato un’intera vita, racconta curiosità e costumi di molti Paesi (dal Costarica al Sudan, dal Canada alla Nuova Zelanda, dal Madagascar all’Inghilterra). Ma il suo libro è anche un dietro le quinte della politica estera italiana.

Ci sono persone vere e reali, situazioni che sono passate alla cronaca, descritte senza infingimenti e senza alcuna omissione dei retroscena.

Si scopre così che dietro la cooperazione internazionale ci sono interessi economici, innanzitutto, che sovrastano e annullano le finalità umanitarie. Che il Palazzo – così è chiamata la Farnesina – è popolato di “dubbie” figure, che nella diplomazia cercano una facile scorciatoia per raggiungere le posizioni politiche che “contano”.

Che la politica estera è “lottizzata” dai partiti: ognuno ha il suo feudo di interessi e amicizie, a chi il Sud America e a chi l’Africa. Che tra corti e cortigiane, davvero poco avviene per caso. Che esponenti della malavita sono stati mandati in “esilio-vacanza” in Centro America.

Il tutto è raccontato sul filo sottile dell’ironia e con estrema lucidità: da diplomatico di lunga esperienza.