Emofilia tipo B

Quando il virus ti salva la vita

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Non tutti i virus vengono per nuocere, è proprio il caso di dirlo. Dopo questi anni di pandemia che ci hanno fatto odiare questa parola più che mai, ecco finalmente un microorganismo che potrebbe segnare il riscatto della sua categoria. Si tratta di un virus noto come “adeno-associato”, modificato per essere in grado di trasportare il gene del fattore IX di coagulazione nelle cellule del fegato.

In realtà esistono diversi virus “buoni” (come accade anche per i batteri). Si tratta di virus detti “batteriofagi”, che si replicano sfruttando le cellule dei batteri patogeni, di fatto distruggendoli. Una nuova frontiera della medicina, che la ricerca sta esplorando in considerazione dell’elevata resistenza che i batteri hanno dimostrato in questi anni alle terapie antibiotiche.

Il virus usato per curare l’emofilia è invece stato modificato dall’ingegneria genetica per fare il “corriere” e consegnare al fegato istruzioni precise per la produzione del fattore IX.

I fattori di coagulazione e l’emofilia

Il fattore IX è un fattore di coagulazione, ovvero una proteina che entra in azione in caso di emorragia, trasformando il sangue dallo stato liquido allo stato solido. La sua carenza è la causa di una malattia genetica, l’emofilia B. Nei soggetti affetti da emofilia B il sangue non coagula, e quindi anche la minima ferita rischia di provocare il dissanguamento.

Al momento l’unica alternativa terapeutica per questi soggetti è iniettarsi il fattore IX al bisogno, in caso di ferite, interventi e altri traumi che causano sanguinamento interno ed esterno. I soggetti devono tuttavia tenere un comportamento estremamente cauto ed evitare qualsiasi attività, anche la più banale, che possa metterli a rischio. Per un emofilico, infatti, anche una semplice pulizia dei denti può essere pericolosa.

L’emofilia è una malattia ereditaria molto nota, associata al cromosoma X e dunque trasmessa dalla madre (portatrice sana) ai figli maschi. Il caso più famoso è quello della regina Vittoria che, trasmettendola a due delle sue figlie, la esportò nelle corti reali d’Europa, prima tra tutte quella russa.

Fortunatamente si tratta di una malattia rara, che conosce forme diverse di gravità, ma che può avere conseguenze importanti e che costringe i soggetti affetti a condurre una vita attenta e spesso limitata.

Come funziona il virus

Le terapie geniche hanno messo a punto un virus modificato per la cura dell’emofilia B, quella causata dalla mancanza del fattore IX (la carenza del fattore VIII è invece causa dell’emofilia di tipo A, assai più rara).

Lo studio, pubblicato sul New England Journal of Medicine, ha visto la partecipazione dello University College di Londra che lo sta ora sperimentando nell’uomo. Il virus, reso innocuo dall’ingegneria genetica – e quindi assolutamente non in grado di trasmettere alcuna malattia – viene somministrato al paziente tramite flebo una sola volta, per “trasportare” le istruzioni per la produzione del fattore IX mancante fino al fegato. Si tratta dunque di una terapia in grado di risolvere a lungo termine le implicazioni della malattia.

Come per tutte le terapie, le incognite da tenere in considerazione sono però ancora molte. Per prima cosa, gli studi suggeriscono che non si tratta di una guarigione completa, tuttavia l’effetto della terapia potrebbe durare per almeno 10 anni. Sarà necessario raccogliere ancora dati per poter valutare questo aspetto.

Inoltre, poiché l’organo target della terapia è il fegato, che nell’uomo finisce di svilupparsi intorno ai 12 anni, non potrà essere somministrata ai soggetti di età inferiore.

C’è, infine, il problema dei costi: al momento il fattore di coagulazione iniettabile è molto costoso, anche se i pazienti lo ricevono attraverso il Sistema Sanitario Nazionale. Spetta agli esperti dell’economia del farmaco calcolare se la terapia con il virus modificato sia più conveniente. Certamente, si tratta di una grande conquista della medicina, che potrebbe consentire ai soggetti affetti da emofilia B di vivere una vita normale, abbassando la soglia di rischio di questa patologia rara ma potenzialmente letale.

Foto di Michal Jarmoluk da Pixabay