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Smart working, 10 motivi per non volerlo

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Il dibattito sullo smart working continua a essere più vivace che mai. Passata l’emergenza della pandemia, infatti, si discute ancora molto sulle opportunità offerte dal lavoro a distanza, non solo per i dipendenti ma anche per le stesse imprese.

Se da noi lo smart working si è imposto solo proprio in seguito alle necessità di isolamento sociale dovute alla situazione di emergenza sanitaria, in altri paesi – soprattutto nel mondo anglosassone – era una realtà ben consolidata, ma che ha comunque conosciuto un boom proprio durante il lockdown.

Si potrebbe dire, quasi, che il lavoro a distanza è stato per molti la panacea a tutti i mali che il mondo lavorativo e professionale di oggi sembrava imporre agli impiegati di tutto il globo. Eppure, sono bastati un paio d’anni di sperimentazione sul campo, per far cambiare idea a molti.

Inizialmente, di fronte a datori di lavoro restii a concederlo o a prolungarlo, i lavoratori lo hanno esaltato e venerato come la forma più flessibile di attività, quella in grado di garantire ampia libertà nella gestione del tempo e della vita privata e familiare. Oggi sono proprio loro a fare un passo indietro, mentre gli imprenditori cominciano ad apprezzarne alcuni aspetti, non ultimo il grande risparmio in termini di infrastrutture e servizi che debbono essere garantite in azienda nel caso di dipendenti che operano in presenza.

Di cosa si discute, dunque? Quali sono gli svantaggi dello smart working per chi lo fa? Vediamoli insieme:

Isolamento.

Non è un caso che lo smart working sia stato lo strumento principale per ostacolare la diffusione della pandemia di Covid-19: lavorare da casa garantiva infatti l’isolamento “sociale”. La maggior parte dei lavoratori a distanza sente la mancanza del rapporto con i colleghi ed in generale di tutti i rapporti umani che accompagnano il lavoro in ufficio.

Sedentarietà.

Lavorare da casa significa, per molti, rinunciare anche a quel minimo di movimento necessario per recarsi sul posto di lavoro.

Perdita di energia.

L’esperienza dello smart working ha dimostrato ancora una volta che l’ambiente che si crea con i colleghi sul posto di lavoro produce una grande energia che viene impiegata proprio durante l’attività lavora e favorisce la riuscita dei progetti e il raggiungimento degli obiettivi.

Mancanza di routine.

Recarsi in ufficio tutti i giorni fa in modo che si crei una routine giornaliera, settimanale e annuale che permette ai lavoratori di organizzarsi. Chi lavora da casa, invece, perde lo stimolo anche per attività basiche come lavarsi e vestirsi.

Perdita di pianificazione.

Chi lavora da casa sembra rimpiangere in particolare il tempo necessario – un tempo definito perso – per recarsi al lavoro. Pare infatti che il viaggio verso il posto di lavoro sia un momento di riflessione e di organizzazione mentale a cui siamo ormai tutti abituati e di cui non riusciamo più a fare a meno.

Perdita dello spazio privato.

Quando la casa diventa l’ufficio, e se non si ha una stanza dedicata, la vita lavorativa e quella familiare si fondono, con un’irrimediabile perdita di identità.

Lavoro non-stop.

Essendo svolto da casa e dipendendo dall’utilizzo di cellulare, e-mail, zoom ecc. lo smart working non ci fa “staccare” mai, come avviene invece dopo aver timbrato il cartellino.

Aumentato controllo da parte del datore di lavoro.

Non essendo visti mentre svolge la propria attività lavorativa, molti dipendenti si sentono doppiamente controllati quando lavorano da casa. Report, videochiamate, relazioni, sono alcuni dei modi in cui il datore di lavora cerca di accertarsi che il dipendente lavori come se fosse in presenza.

Perdita delle norme comportamentali.

La libertà estrema assicurata dal lavoro a distanza ha comportato per molti la perdita delle nozioni basilari del comportamento da tenere sul posto di lavoro. Dal codice di abbigliamento alle relazioni con i colleghi, l’isolamento lavorativo sembra aver causato una regressione nei dipendenti.

Discriminazione fra impiegati in presenza e a distanza.

Si tratta di un caso che si verifica soprattutto nelle aziende che non hanno consentito ai propri dipendenti di scegliere, e che hanno invece assegnato lo smart working in base al ruolo. Chi deve lavorare in presenza per via del lavoro svolto si sente spesso discriminato, ad esempio nella gestione della propria vita familiare.

Foto di Kevin Phillips da Pixabay