Gli animali hanno una coscienza? E le macchine? Per animalisti e informatici la risposta è senz’altro un entusiastico sì. Ma secondo l’analisi delle neuroscienze, la questione è un po’ più complessa.
Forse per i cani è verosimile pensare che abbiano un modo di vedere e sentire simile al nostro. Ma che dire di un’aragosta? È davvero paura e sofferenza quella che percepiamo quando lo chef la immerge viva nell’acqua bollente o solo un riflesso che noi tendiamo ad antropomorfizzare?
Giulio Tononi, neuroscienziato italiano attivo negli Stati Uniti, si è occupato negli anni di questa spinosa questione delle neuroscienze. Altre tipologie di cervello, molto diverse dalla nostra, sono capaci di coscienza? Quando e come questa emerge nel nostro cervello? Altri tipi di cervello, ad esempio quelli elettronici, sono in grado di avere il nostro stesso tipo di vita interiore?
Per risolvere il puzzle, Tononi ha elaborato negli anni la teoria dell’informazione integrata (Integrated Information Theory – ITT), che fornisce ipotesi verificabili, sebbene non ancora dimostrate, che potrebbero dare una risposta definitiva a questo interrogativo.
Per trovare la risposta Tononi è ricorso alla medicine e all’esperienza clinica del cervello, con l’osservazione di casi neurologici e psicotici, alla ricerca di ciò che accade ai pazienti quando perdono la coscienza o parti di essa, ma anche attraverso lo studio del sonno.
Nei suoi lavori, Tononi stabilisce una serie di assiomi che definiscono cos’è realmente la coscienza. Secondo la sua definizione, la coscienza è “specifica” e “differenziata”, ovvero ciascuna esperienza sarà diversa in base alle particolari circostanze, e dunque le esperienze possibili sono numerose. Ed è “integrata”: include cioè informazioni diverse che vengono elaborate dal cervello separatamente e poi unite in un singola esperienza di coscienza. Un oggetto può, ad esempio, essere percepito in base alla sua forma, al suo colore, alla sua posizione, informazioni diverse che convergono nella nostra coscienza dell’oggetto.
Sulla base di questi assiomi, Tononi sostiene che sia possibile identificare la coscienza di una persona (o di un animale o di una macchina) in base al livello di “informazione integrata” possibile nel cervello. Maggiore è il numero di informazioni condivise ed elaborate tra i deversi componenti che contribuiscono alla singola esperienza, maggiore sarebbe il livello di coscienza.
Per spiegare meglio il concetto, confronta il sistema visivo del cervello ad una fotocamera digitale. La fotocamera cattura la luce che colpisce ciascun pixel del sensore d’immagine, producendo quindi un’enorme quantità di dati. Ma i pixel non interagiscono tra loro, non si “parlano”, ovvero non condividono le informazioni: ciascuno di essi registra in maniera indipendente una parte della scena. Non c’è integrazione, quindi non c’è coscienza.
Anche la retina dell’occhio umano contiene molti sensori che catturano piccoli elementi della scena. Ma i dati così raccolti vengono condivisi ed elaborati tramite diverse parti del nostro cervello. Alcune lavorano sui colori, adattando i dati grezzi al livello di luce per riconoscere i colori in qualsiasi condizione. Altre esaminano i contorni per rilevarne la forma anche se parzialmente oscurata. E queste informazioni vengono ulteriormente condivise con altre regioni per avere l’esperienza conscia di ciò che abbiamo di fronte.
Lo stesso accade per i ricordi: non archiviamo le nostre esperienze separatamente, come la cartella di una fotocamera, ma le combiniamo e le incrociamo in una narrazione che ha un significato. Ogni volta che facciamo una nuova esperienza, si integra nelle informazioni già in nostro possesso. E allora basta un biscottino per riportarci alla mente tutta la nostra vita…
Sebbene non ancora dimostrata, la teoria dell’informazione integrata ha già il pregio di essere compatibile con molte altre osservazioni e ricerche in medicina. Ma se si rivelasse corretta, porterebbe davvero ad un cambiamento di rotta negli studi delle neuroscienze. Se con questa teoria si riuscisse a dimostrare la presenza di una coscienza negli animali, ad esempio?
Ma le domande che troverebbero risposta sarebbero quelle assai più annose sull’Intelligenza Artificiale.
Secondo Tononi, l’attuale struttura dei computer – una serie di reti di transistor – impedirebbe il livello di integrazione delle informazioni necessario a sviluppare la coscienza. Nessun computer, anche se programmato per comportarsi come un essere umano, sarebbe in grado di avere una vita interiore ricca come la nostra. Per quanti e quanti compiti possano apprendere, il software usato non consente lo sviluppo di una coscienza: i dilemmi morali sulle macchine di Blade Runner, AI, Westworld non sarebbero quindi possibili.
Il cervello umano sembra ancora l’unico in grado di compiere questo miracolo d’integrazione che ci distingue dalle macchine e dagli altri animali.