Premessa: vivendo in una democrazia matura ognuno è libero di cantarsela, suonarsela e ballarsela come meglio gli aggrada.
La scelta di Laura Pausini di rifiutare di intonare “Bella ciao” di per sé non presta quindi il fianco ad alcuna critica. Discutibile è invece la giustificazione addotta per motivare il diniego. “Non interpreto canzoni politiche”, ha rivendicato fieramente l’artista romagnola. “Né di destra né di sinistra”.
Il punto è che “Bella ciao” è sì un brano politico ma nel senso più alto del termine. È un inno alla libertà che, al di fuori dal recinto delle dittature, rappresenta un ideale nobile. Patrimonio sia della destra che della sinistra.
È il manifesto canoro della nostra Costituzione, nata dalla lotta partigiana contro il fascismo che radunò nelle sue file comunisti, socialisti, cattolici, liberali. E anche cittadini senza etichette ideologiche. Tutti accomunati dall’urgenza di rigetto di una tirannia sfociata in una tragedia nazionale.
L’afflato di libertà che scaturisce da quel brano è diventato così potente da trasformarsi in un’icona mondiale. Sbandierata in infinite manifestazioni di protesta contro i soprusi ai quattro angoli del pianeta. Un fenomeno globale, non più strettamente italiano.
Senza la Costituzione antifascista, di cui “Bella ciao” è una sorta di colonna sonora, Laura Pausini non avrebbe goduto di altrettanta facoltà di libera scelta. Sotto il fascismo ogni espressione di cultura doveva rispettare i canoni di ubbidienza alle direttive della dittatura.
Nel 1931 il regime impose ai docenti universitari il giuramento di fedeltà a Mussolini. Su 1225 accademici solo 12 si sottrassero al diktat. Finirono emarginati, o arrestati, o in esilio.
Laura Pausini, avendo le radici in una regione dove la Resistenza partigiana ha pagato un enorme contributo di sangue (forse anche di amici dei nonni, magari di suoi parenti), non può ignorare le dimensioni straordinariamente simboliche, direi quasi metapolitiche, di questa canzone.
Forse il suo rifiuto è stato un atto istintivo di impulso più che un gesto opportunistico. Forse (la critica mossale più ricorrente) non celava l’intenzione di saltare sul carro della vincitrice annunciata delle imminenti elezioni: Giorgia Meloni che le sue sia pur remote radici le vanta invece nella nostalgia dell’infausto ventennio.
Ma appare in ogni caso un gesto quanto meno confuso, di chi non vuole o non sa tracciare una chiara linea di demarcazione fra la libertà e il totalitarismo.
Giorgia Meloni, secondo la quasi totalità dei sondaggi, è la prima donna che può insediarsi a Palazzo Chigi sfondando finalmente “il soffitto di cristallo”. Giusto tre anni fa, proprio con il titolo “Il soffitto di cristallo”, scrissi per l’editore Di Renzo un romanzo che prefigurava l’arrivo finalmente di una donna al vertice del governo e che all’epoca aveva ancora un sentore di fantapolitica.
Oggi che le mie previsioni si stanno forse avverando, come profeta assolutamente involontario, avrei un suggerimento per la Pausini. Provi a convincere la Meloni, che prima di assumere l’eventuale incarico dovrà giurare sulla Costituzione antifascista, a cantare “Bella ciao” insieme a lei.
La aiuterebbe ad assimilare più compiutamente il DNA della Costituzione antifascista. A svolgere il suo tremendo compito al di là degli steccati ideologici, senza più ammiccamenti alle forze che esplicitamente si richiamano alla dittatura o alle improponibili revisioni della Storia che ha già emesso i suoi inappellabili verdetti.
In nome di una democrazia appunto matura. Capace di liberarsi dei fardelli oscuri del passato e, soprattutto in tema di diritti civili, di garantire la libertà di scelta di ogni cittadino. Che sia di destra o di sinistra.
Scritto da: Gianni Perrelli