Il più grande fisico teorico italiano del XX secolo

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Ettore Majorana nasce a Catania il 5 agosto 1906:il nonno era stato due volte ministro con Depretis, lo zio Angelo è ministro con Giolitti, lo zio Quirino – fisico sperimentale provetto – è presidente della Società Italiana di Fisica; tre degli zii (paterni) diverranno deputati e rettori dell’Università di Catania. La genialità in famiglia non manca: lo zio Angelo è maturo a dodici anni, libero docente a diciassette, professore universitario di ruolo a venti; e, come si è detto, sarà ministro (pure lui due volte) con Giolitti. Ettore fa le prime classi elementari in casa, con l’amato padre (che morirà nel 1934). Viene poi mandato in collegio a Roma. Dopo la maturità si iscrive a Ingegneria avendo come compagni i figli del filosofo Giovanni Gentile, del matematico e illustre epistemologo Federigo Enriques, e del sommo matematico Volterra. Passa quindi a Fisica, come stiamo per dire, entrando nel gruppo romano di Enrico Fermi.

Per dare un’idea di cosa abbia significato per la cultura e la scienza italiane l’attività romana di Fermi e del suo gruppo, ricordiamo che la fisica italiana già una volta aveva conquistato una posizione di eccellenza a livello internazionale: con Galileo. Ma la condanna (22 luglio 1633) da parte del potere di allora, quello della Chiesa che, considerati i tempi, non ebbe in fondo conseguenze molto gravi per Galileo tagliò alle radici la scuola galileiana, la quale avrebbe potuto continuare ad essere la prima del mondo. È solo Fermi che, ben tre secoli dopo Galileo, riesce a generare di nuovo un esteso e moderno movimento in seno alle scienze fisiche italiane. Ad esempio l’articolo di Fermi che dà avvio alla teoria delle interazioni deboli (coronata dopo cinquant’anni, nel 1983, dalle scoperte di Carlo Rubbia e collaboratori) esce nel 1933: esattamente trecento anni dopo la condanna definitiva della teoria galileiana.

Con i ragazzi di Via Panisperna

Proprio per far fare un nuovo salto di qualità alla fisica italiana, Orso Mario Corbino – fisico illuminato, Ministro dell’Educazione Nazionale nel primo governo Mussolini fa vincere una cattedra a Roma al venticinquenne Enrico Fermi.

Corbino invita poi (nel 1927) gli studenti di ingegneria più dotati a passare a Fisica: vi passano Edoardo Amaldi [l’unico che resterà in Italia durante la guerra, a mantenere viva la scuola creata da Fermi] ed Emilio Segré [che prenderà poi un discusso premio Nobel negli USA], entrambi amici di Ettore.

Convincono Majorana ad incontrare Fermi; ma Ettore, prima di passare a Fisica, fa un esame a Fermi… Incontratolo, Fermi parla del proprio modello tomico, ora noto come modello di Thomas-Fermi, il quale l’aveva portato a una difficile equazione differenziale che non aveva saputo risolvere se non numericamente. Ettore non si fida: va a casa e in poche ore risolve quella equazione analiticamente, seguendo due strade diverse (la seconda ancora ignota alle matematiche).

Il giorno dopo torna e confronta i propri risultati con quelli di Fermi: scopre che essi coincidono e non può nascondere la propria meraviglia. Fermi aveva superato l’esame, e Majorana abbandona Ingegneria per Fisica agli inizi del 1928, e si laurea l’anno successivo, conseguendo la Libera Docenza in fisica teorica dopo altri tre anni, nel 1932.

Le sue pubblicazioni ancora una miniera inesplorata (per non parlare dei manoscritti da lui lasciati inediti, e dei suoi lavori successivi al 1933 andati purtroppo perduti) – sono solo nove. Majorana pubblicava soltanto scoperte di altissimo livello, trascurando, come banali, risultati successivamente dati alle stampe da Premi Nobel. Sa usare da maestro le proprietà di simmetria degli stati quantistici, così da semplificare enormemente e rendere eleganti i più intricati problemi.

Non vuole pubblicare

Non avendo noi modo di parlare qui delle dette pubblicazioni, accenniamo solo all’interessante genesi degli ultimi suoi due articoli, cominciando col lavoro n. 8. Nel 1932 giungono a Roma notizie sugli esperimenti dei Joliot-Curie: Ettore subito si avvede che hanno scoperto il “neutrone” [successivamente annunciato da Chadwick, che ricevette il premio Nobel]: «che stupidi – esclamò – hanno scoperto il protone neutro e non se ne sono accorti»… Concepisce all’istante una teoria del nucleo atomico che ne spiega la stabilità; ma non vuole pubblicarla, ritenendola un gioco da studenti.

Detta teoria viene però pubblicata dal grande Heisenberg, di Lipsia, anche se in maniera imperfetta. Fermi allora obbliga Ettore ad andare a Lipsia con una borsa di studio del CNR [i primi soldi ricevuti da E.M.]. A Lipsia Ettore diviene amico del fisico-filosofo Heisenberg, il quale convince Majorana a pubblicare infine la sua teoria, migliore di quella di Heisenberg.

Questo lavoro è l’unico a venire subito notato e compreso, per la propaganda fattane da Heisenberg (che riceverà il premio Nobel pochi mesi dopo). La teoria dei nuclei atomici si basa tuttora sulle «forze di scambio di Heinsenberg-Majorana». Molto belle sono le lettere scritte da E.M. da Lipsia. Molto belle, e umoristiche anche le lettere che aveva scritto d’estate, sull’Etna, dalla casa di campagna della famiglia, al compagno di studi e amico Pique’.

Tutte sono state da noi riportate nel nostro libro biografico sul Majorana, ma qui non abbiamo spazio per esse. Sono stati pubblicati presso Bibliopolis (Napoli) anche gli appunti di lezione da lui preparati, per amore dei suoi studenti, durante il periodo delle proprie lezioni a Napoli: da gennaio a marzo del 1938 (scomparirà il 26 marzo 1938, non dopo aver consegnato alla sua bella allieva Gilda Senatore una cartelletta con numerosi fogli: «li tenga: poi ne parleremo»), periodo durante il quale riceve il suo primo stipendio regolare. Pure gli appunti per la sua Prolusione al corso sono stati da noi ritrovati, e ancora posseduti in originale, e restano a disposizione. Infine, abbiamo contribuito a pubblicare nel 2006 (Zanichelli, Bologna) i suoi appunti «di studio» (o «Volumetti»); e una selezione dei suoi appunti «di ricerca scientifica» (i «Quaderni») nel 2009 presso la Springer (Berlino): ma si tratta di materiale altamente scientifico. Rientrato da Lipsia, alla fine del 1933, Ettore abbandona il gruppo di Fermi (Fermi, Rasetti, Pontecorvo, Segré, Amaldi, D’Agostino): che nel 1934 produrrà la reazione a catena, senza capirla: senza che nessuno al mondo se ne rendesse conto. Majorana aveva capito? Possibile, ma non era ciò motivo per abbandonare la famiglia, o la vita…Ettore, comunque, continua a fare ricerca in Fisica anche dopo il 1933, e mostra un vivo interesse per l’insegnamento: per tre anni tra il 1933 e il 1936, chiede alla Università di Roma di potere tenere corsi gratuiti (diritto che gli proveniva dalla Libera Docenza). Non pubblica più, però, neanche l’articolo – su una teoria generale delle particelle elementari della materia, ancora inesistente –, che durante il periodo di Lipsia aveva annunciato in varie lettere come già pronto, in lingua tedesca (la lingua, allora, della fisica), e sul punto di essere spedito a una delle più prestigiose riviste (tedesche) del tempo. Né pubblica i risultati dei suoi studi casalinghi sulla teoria quantistico-relativistica dell’elettromagnetismo (studi che confessa nel 1936 in una missiva allo zio Quirino).

Il neutrino

Nel 1937 c’è un concorso a cattedre di fisica teorica: Ettore, sempre interessato all’insegnamento, vi partecipa. La commissione, presieduta da Fermi, dichiara al Ministro dell’Educazione Nazionale Bottai di esitare ad applicare ad una personalità come Majorana le usuali procedure dei concorsi universitari; e a lui propone – cosa subito accettata – che Majorana riceva una cattedra, al di fuori del concorso, «per l’alta fama di singolare perizia a cui Ella è pervenuta» (come gli scriverà il ministro). Dovendo dimostrare di essere ancora attivo, in occasione del Concorso per nostra fortuna Ettore aveva tirato fuori da un cassetto un articolo pronto dal 1932-33, nel quale introduce il suo «neutrino di Majorana»: tuttora sono in corso colossali e importanti esperimenti [sotto il Gran Sasso, in Usa, in Giappone] per verificare se i neutrini sono quelli «di Dirac» o quelli «di Majorana». Tale questione è una delle maggiori attualmente affrontate dalla fisica sperimentale delle alte energie (ovvero, delle particelle elementari). Il venerdì 25 marzo (dopo la consegna delle sue carte non all’Accademia, ma all’allieva Senatore), E.M. scrive al direttore, Carrelli, della Fisica di Napoli, con calligrafia tranquillissima: «Caro Carrelli, ho preso una decisione che era oramai inevitabile. Non c’è in essa un solo granello di egoismo… Di tutti conserverò un caro ricordo, almeno fino alle 11 di questa sera». A quanto si sa, prende poi la nave Napoli-Palermo delle 10:30 della sera. Il 26 marzo, sabato, manda, su carta eccezionalmente) intestata dell’Hotel Sole di Palermo, un espresso a Carrelli, che viene consegnato al destinatario la domenica mattina: «Il mare mi ha rifiutato, e ritornerò… Non mi prendere per una ragazza ibseniana, perché il caso è differente…». Questo è l’ultimo documento scritto da Majorana che si possegga (l’ultimo manoscritto, forse, di una sua «macchinazione»?).

Un giallo senza soluzione

Ettore al fine si uccise? Non lo crediamo. Andò in un convento? Può darsi. I documenti più seri parlano però di una sua fuga in Argentina: fuga, probabilmente, dai propri «pupi» pirandelliani di membro regolare di un gruppo di ricerca in fisica (quando in fisica teorica superava di dieci lunghezze tutti gli altri), e di bravo figlio di una famiglia del Sud Italia con una madre di carattere dominante. Ettore aveva sul comodino libri di Shakespeare, di Shopenauer, e di Pirandello. E Pirandello, nel 1904, aveva fatto dire a Matteo Pascal: «Chissà quanti sono come me… Si lascia il cappello e la giacca, con una lettera in tasca, sul parapetto d’un ponte, su un fiume; e poi, invece di buttarsi giù, si va via tranquillamente: in America o altrove». Il direttore dell’Istituto di fisica dell’Università Cattolica di Santiago del Cile [ci sono due filmati al riguardo, ai quali abbiamo collaborato] dichiara di avere avuto a Buenos Aires, due volte, prove indirette della presenza di E.M. dalle parti di Buenos Aires. La vedova del premio Nobel quatemalteco, Asturias, conferma. Lo stesso Leonardo Sciascia, in una sua lettera a noi spedita, dà credito all’ipotesi “Argentina”. Ma i documenti (riportati nel nostro libro) non sono conclusivi. I fratelli di Ettore, raccomandati da Giovanni Gentile, vennero ricevuti in Roma dal Capo della Polizia, sen. Bocchini; il quale inviò a tutti i Questori del Regno un importante cablogramma. All’interno della straordinaria storia del Majorana, iniziò così anche un “giallo” di alto spessore culturale. Enrico Fermi, il 27 luglio 1938 (dopo la scomparsa di Majorana, avvenuta il sabato 26 marzo 1938), scrivendo da Roma al primo ministro Mussolini onde chiedere una intensificazione delle ricerche di Ettore, affermò: «Io non esito a dichiararVi… che fra tutti gli studiosi italiani e stranieri che ho avuto occasione di avvicinare il Majorana è fra tutti quello che per profondità di ingegno mi ha maggiormente colpito». E Giuseppe Cocconi, dal CERN il 31.12.86 testimoniò ad E. Amaldi che, quando a Roma si seppe della scomparsa del Majorana, Enrico Fermi volle spiegargli: «Vede, al mondo ci sono varie categorie di scienziati: gente di secondo e terzo rango, che fan del loro meglio ma non vanno molto lontano. C’è anche gente di primo rango, che arriva a scoperte di grande importanza, fondamentali per lo sviluppo della scienza… Ma poi ci sono i geni, come Galileo e Newton. Ebbene, Ettore era uno di quelli …».

Se Ettore Majorana non fosse scomparso, ed avesse anzi creato una propria Scuola, le conseguenze per la fisica teorica italiana (la quale, va detto, non è stata comunque seconda a nessuna nel mondo, fino a pochi anni fa, cioè fino a quando non è stata ripetutamente percossa dagli interventi distruttivi degli ultimi 4 o 5 Governi) sarebbero state enormi, addirittura impensabili.

Scritto ispirato ai documenti e alla ricostruzione contenuti nel libro Il Caso Majorana: Epistolario, Documenti, Testimonianze, di E. Recami, Mondadori, Milano 1987, 1991; Di Renzo Editore, Roma, 2000, 2002, 2008