Un genio dimenticato

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Nel panorama dei matematici italiani del Novecento, Fantappié ha occupato un posto di rilievo, anche se le sue intuizioni non hanno trovato molto seguito nella comunità scientifica, forse perché le implicazioni delle sue scoperte andavano contro la mentalità corrente. Nato a Viterbo nel 1901, frequenta il corso di laurea in matematica alla Scuola Normale. Stringe una feconda amicizia con un brillante studente di fisica, Enrico Fermi; i due si confrontano spesso in discussioni sulla teoria della relatività, apportando l’uno le conoscenze fisiche, l’altro le possibili implicazioni matematiche. A 21 anni Fantappié si laurea col massimo dei voti e dal 1939 ricopre la cattedra di analisi superiore all’istituto di Alta Matematica.

In questo ambiente, Fantappié viene a contatto con i più brillanti studiosi del tempo; ciò gli permette di approfondire le sue ricerche, fino alla formulazione di alcune teorie che hanno precorso i tempi, formando un gruppo di giovani allievi e avviando intense collaborazioni all’estero. La vita accademica prosegue fino al 1956 quando si spegne il 28 luglio.

Fantappié era uomo di grande fede; cattolico convinto, fece parte dell’Accademia nazionale dei Lincei dove apportò contributi elevati. In una delle tante conferenze sosteneva:

«Per il bene nostro e di tutti, è da tener presente che solo se si riduce la scienza ad una tecnica, solo se si abbandonano i veri fini della scienza, la conoscenza razionale della realtà, sostituendo questi fini con mezzi occasionali di una certa epoca, metodo e tecnica elevati a fine ultimo da cercatori miopi, si può nella scienza mettere da parte l’idea di Dio. Altrimenti Dio è naturalmente al centro della scienza, essendone il motore ed il fine, come è provato dagli stessi grandi scienziati di tutte le epoche, da Galileo a Newton, da Platone a Picard, da Linneo a Pasteur, nonostante le opposte opinioni dei loro più meschini seguaci».

La sua amicizia con Fermi gli consentì una comprensione profonda della relatività, alla quale applicò gli strumenti matematici che conosceva, fino a formulare una nuova teoria che chiamò “relatività finale”.

Un’altra importante scoperta fu quella della sintropia: studiando una delle equazioni fondamentali della fisica, la cosiddetta equazione delle onde, osservò che era ancora valida per valori negativi della variabile tempo. Da questo trasse come conseguenza la possibile esistenza di fenomeni che hanno la loro causa nel futuro o, per meglio dire, convergono verso un fine; successivamente, ampliando il suo campo di ricerca dalle scienze fisiche a quelle biologiche, arrivò alla conclusione che nei fenomeni legati alla vita è presente un principio di coesione che chiamò sintropico, in antitesi a quello disgregativo, entropico.

Nel 1962 Prigogine ottenne il Nobel proprio dimostrando che nei sistemi aperti, come quelli degli esseri viventi, l’entropia non cresce sempre, ma ha diminuzioni che corrispondono al salto qualitativo del sistema. Ciascuno di noi è un miracolo che attesta la crescita non indefinita dell’entropia! Questi fatti suggerirono a Fantappié l’idea di una teoria unitaria del mondo fisico e biologico; per questo fondò il Centro internazionale di comparazione e sintesi, a cui parteciparono scienziati, filosofi e letterati. Lo scopo era recuperare l’unità del sapere attraverso il confronto tra specialisti di vari campi.

Nel 1947 espose una delle conseguenze più interessanti, «un nuovo concetto di esistenza»: tutti gli eventi passati, presenti e futuri esistono insieme, per cui il divenire è solo una sensazione del singolo, dovuta all’impossibilità di percepire l’esistente nella sua totalità. Un simile concetto comportava una visione trascendente dell’universo, creando una conflittualità con il pensiero agnostico diffuso negli ambienti accademici. Le intuizioni di Fantappié restarono incomplete a causa della sua morte, ma anticiparono uno dei problemi della scienza moderna: la complessità.

(Città  Nuova, 28 gennaio 2009)